sabato,Maggio 18 2024

Tra eccellenze e veleni, la lunga lotta di Bisignano contro il depuratore industriale che nessuno vuole

Nel turbine di alterne vicende giudiziarie, l'impianto gestito dalla Consuleco sorge da vent'anni tra i campi coltivati di questo pezzo di provincia cosentina. Associazioni, cittadini e anche l'amministrazione comunale ne chiedono lo smantellamento e fanno appello alla Regione

Tra eccellenze e veleni, la lunga lotta di Bisignano contro il depuratore industriale che nessuno vuole

Ci sono due montagne verdi e un cielo azzurro contro cui si agitano gli zoccoli di un maestoso cavallo bianco. Scalpita quel cavallo, indomito come la gente che rappresenta: il popolo di Bisignano che questo stemma lo guarda alla luce dell’oggi, delle vicissitudini più recenti e delle battaglie per il territorio e la salute che da tempo porta avanti. C’è l’eco di un no che rimbomba tra le colline di questo paese di nemmeno 10mila abitanti a pochi chilometri da Cosenza, un urlo che si è levato qualche anno fa e non si è ancora spento.

Perché quella di Bisignano è una storia di gente che vive e lavora, di eccellenze incastonate in quest’angolo di Calabria come quell’arte liutaria tramandata e resa famosa ovunque dai maestri De Bonis, o come i prodotti enogastronomici che in queste terre vengono messi a dimora e tirati su con cura e pazienza come la tradizione contadina insegna. Ma è una storia, anche, di veleni e paure, di rabbia e ribellione a qualcosa che rischia di offuscare – e addirittura di stroncare, in qualche caso – tutto il bello e il buono che c’è. Un neo tra l’azzurro e il verde dello stemma, una nota stonata, un sentore di marcio. Un agglomerato di cisterne e cassoni e silos che ha allungato un’ombra su questo territorio e che tra la gente del posto non ha mai smesso di generare dubbi.

Si tratta del depuratore adibito al trattamento di rifiuti liquidi pericolosi, gestito dalla Consuleco Srl, la cui presenza è al centro di un fuoco incrociato che da più tempo turba la quiete di queste colline: da una parte associazioni, rappresentanti politici e istituzionali e semplici cittadini che additano l’impianto come un mostro che sta uccidendo quello che c’è intorno; dall’altra gli amministratori della società che sostengono di aver svolto ogni attività secondo le regole. In mezzo, le alterne vicende giudiziarie che di qui sono passate. Due molto grosse: l’inchiesta lucana sul centro Eni di Viggiano nel 2016, che portò alle dimissioni dell’allora ministra del governo Renzi Federica Guidi e in cui finì coinvolta anche la Consuleco, poi assolta per mancanza di prove; più recentemente, a febbraio 2020, l’inchiesta cosentina denominata “Arsenico”, come una delle sostanze altamente inquinanti che, secondo quanto emerse dalle indagini, finivano dal depuratore nel fiume Mucone. Sostanze che qui sarebbero arrivate da impianti fuori regione come l’Ilva di Taranto o lo stesso Centro oli della Basilicata finendo senza alcun tipo di trattamento nelle acque del Mucone e da qui al Crati.

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Una vicenda lunga vent’anni

Una battaglia, quella contro il depuratore, che affonda le sue radici in un passato lontano più di vent’anni e che oggi vede in prima fila, al fianco di decine di altre associazioni anche a carattere provinciale e regionale, l’Associazione ambientalista Valle del Crati Bisignano, protagonista solo alcuni giorni fa dell’ennesima manifestazione contro l’impianto. «Già nel 2001 chi vive in quelle zone aveva cominciato a lamentarsi dei cattivi odori e di danni alle piante» racconta la vicepresidente Silvana Astuni.

L’inchiesta Arsenico, dunque, non è stata una sorpresa. Anche perché già nel 2008 un’informativa della questura di Cosenza, scaturita da alcuni controlli durante i quali aveva catturato l’attenzione degli agenti il viavai di numerose autocisterne provenienti da diverse parti d’Italia, ipotizzava il danno ambientale provocato dall’attività del depuratore.

Con Arsenico il mix di preoccupazione e rabbia deflagra. «Noi siamo sorti come comitato in quell’occasione – spiega Silvana Astuni –, poi ci siamo costituiti come associazione». Ma non ci sono solo loro a protestare contro la presenza del depuratore industriale a Bisignano. In prima fila ci sono gli agricoltori, i più colpiti a livello economico anche solo per il danno d’immagine provocato dalle vicende giudiziarie. A loro ha espresso vicinanza l’assessore regionale Gianluca Gallo, definendo «condivisibile la protesta».

L’agricoltura a rischio

Bisignano è un territorio a vocazione agricola. Tanto per farsi un’idea, ecco i dati snocciolati dal sindaco Francesco Fucile nel corso dell’incontro organizzato la scorsa settimana: 222 imprese iscritte alla Camera di commercio, senza contare il gran numero di persone che coltivano il proprio pezzo di terra. «Oltre 3.500 persone a Bisignano – ha affermato il primo cittadino – vivono direttamente o indirettamente di agricoltura».

Ma al di là del danno economico, c’è un paese preoccupato dei tanti – dicono – casi di tumore registrati nella zona. «C’è un’alta incidenza di malattie – dice Astuni – delle quali ovviamente non è semplice dimostrare la correlazione con le attività del depuratore». Proprio su questo aspetto il sindaco vuole vederci chiaro e ha chiesto all’Università della Calabria di analizzare la situazione tramite uno studio basato sui dati in possesso dei medici di base i cui risultati dovrebbero arrivare già tra un mese.

L’appello alla Regione

Intanto la battaglia contro il depuratore continua. L’inchiesta Arsenico è sfociata nel rinvio a giudizio degli indagati e l’amministratore unico della Consuleco, Vincenzo Morise, ha patteggiato. L’impianto è rimasto sotto sequestro per un anno, dopodiché ha ripreso a funzionare. Di mezzo un ricorso al Tar e la Regione Calabria che deve ancora esprimersi sul rinnovo dell’Aia. Una vicenda controversa su cui si stagliano, però, chiare le richieste delle associazioni, dell’amministrazione comunale e dei cittadini: la revoca definitiva dell’Autorizzazione integrata ambientale e lo smantellamento dell’impianto con conseguente bonifica del sito. La palla adesso è tutta in mano alla Regione. Esattamente il 6 ottobre scorso, a urne ancora calde (le elezioni il 3 e 4 ottobre), il dipartimento Tutela dell’ambiente comunicava l’avvio della procedura per il “riesame e rinnovo” dell’Aia. A questo avrebbe dovuto far seguito una conferenza dei servizi della quale però non si è più avuta notizia. «Noi chiediamo che venga convocata al più presto – dichiara Silvana Astuni – e che vengano valutate le ragioni dei cittadini e delle associazioni in lotta, così come dell’amministrazione comunale».