mercoledì,Maggio 15 2024

Il caso Porcaro, la Dda: «Non meritava il programma di protezione»

Le parole del procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla nella prima parte della requisitoria contro le cosche di 'ndrangheta cosentine

Il caso Porcaro, la Dda: «Non meritava il programma di protezione»

La credibilità di un collaboratore di giustizia si misura attraverso le sentenze. A volte succede però che l’aspirante pentito dica metà delle cose di cui egli è a conoscenza e quando questo avviene l’ufficio di procura che “gestisce” l’indagato o l’imputato blocca tutte le procedere per far entrare il soggetto in questione nel programma di protezione. Con Roberto Porcaro è accaduto proprio questo, forse la “ferita” che più fa male alla Dda di Catanzaro, la quale (ovviamente) contava sul suo apporto dichiarativo per scoprire altre trame mafiose in provincia di Cosenza. E non solo. Ma a tutto c’è un limite. E quando i conti non tornano, la giustizia non contempla verità parziali.

porcaro usura avvocato

La requisitoria del processo abbreviato di “Reset“, come la nostra testata sta raccontando udienza dopo udienza, racchiude le motivazioni che hanno portato i pm antimafia a “lasciare andare” l’ex “reggente” del clan “Lanzino-Patitucci” di Cosenza, da aprile fino a settembre collaboratore di giustizia. Come spiegato di recente, le sue dichiarazioni entrano a pieno titolo nel processo abbreviato, così come avranno un valore quelle “omissate” nelle future indagini antimafia. Le sue propalazioni difficilmente avranno uno sbocco invece nel processo ordinario, dove la prova si forma in dibattimento. E senza il suo esame, questo non potrà avvenire.

Nella prima parte, la Dda di Catanzaro, nella persona del procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla, ha apparecchiato la tavola investigativa, introducendo i successivi interventi dei pubblici ministeri Vito Valerio e Corrado Cubellotti, i due magistrati che – insieme ai colleghi Margherita Saccà e Giuseppe Cozzolino (applicati dalla procura di Cosenza) – si sono occupati del maxi fascicolo antimafia contro la ‘ndrangheta cosentina.

Processo “Reset”, cosa ha detto il procuratore Capomolla su Porcaro

«In questo processo penale gli esiti investigativi si sono sviluppati attraverso degli apporti, che sono apporti costituiti principalmente dalla attività di intercettazione» e «poi sono confluiti in questo unico procedimento penale» ha detto Capomolla «numerosi collaboratori che c’erano già prima dell’esecuzione della misura cautelare» e altri «se ne sono aggiunti altri nel corso del tempo successivo alla esecuzione di misure cautelari». Un discorso che porta dritti a Danilo Turboli e Roberto Porcaro. «Altri hanno, diciamo, tentato, avviato inizialmente una via di collaborazione, ma che fin da subito si è compreso non essere una via di collaborazione che avrebbe potuto portare a un definitivo allontanamento del soggetto dalle logiche criminali di riferimento, mi riferisco alla vicenda della collaborazione di Turboli e poi altri invece, come per esempio per la collaborazione di Porcaro, che hanno consentito di valutare in termini non di rilevanza tale da meritare un programma di protezione definitivo per Porcaro».

Leggi anche ⬇️

«La valutazione delle dichiarazioni di Porcaro è una valutazione processuale, per molti aspetti – ha ribadito il procuratore Capomolla – è una valutazione che si inserisce coerentemente nel contesto del quadro probatorio di questo procedimento penale, per altri aspetti presenta profili critici. L’attualità del vincolo associativo. Ovviamente anche in questo caso noi abbiamo una serie di esiti intercettivi che danno conto del vincolo associativo attuale che esiste e che si inserisce in un programma confederato, come dicevo prima, tra le organizzazioni, tra la componente “italiana”, ma lo dico sul piano descrittivo, giudice, ovviamente la componente italiana e la componente zingara sono italiani, cittadini italiani tutti» ha aggiunto il magistrato calabrese.

La “reggenza” mal tollerata

Verso la fine del suo intervento, il procuratore Capomolla ha illustrato rapidamente i rapporti tra Francesco Patitucci e Roberto Porcaro. «Nel momento di detenzione di Francesco Patitucci» la “reggenza” della cosca passa a Roberto Porcaro, «anche se poi questa reggenza viene in qualche modo sofferta in silenzio da altri luogotenenti di Patitucci, come per esempio lo stesso Piromallo».

Articoli correlati