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Dissesto, i giudici smascherano le bugie del Comune

Trentasette pagine per demolire un castello di bugie raccontate per anni. La sentenza con cui la Corte dei Conti ha imposto a Palazzo dei Bruzi di dichiarare il dissesto diventa pubblica e porta alla luce un mondo oscuro, fatto di trucchi contabili e disavanzi occulti. L’amministrazione targata Mario Occhiuto ha mentito per anni sullo stato

Dissesto, i giudici smascherano le bugie del Comune

Trentasette pagine per demolire un castello di bugie raccontate per anni. La sentenza con cui la Corte dei Conti ha imposto a Palazzo dei Bruzi di dichiarare il dissesto diventa pubblica e porta alla luce un mondo oscuro, fatto di trucchi contabili e disavanzi occulti. L’amministrazione targata Mario Occhiuto ha mentito per anni sullo stato delle sue finanze, gonfiando i bilanci. Invece di risanare i conti, li peggiorava. Il piano di riequilibrio finanziario pluriennale (PFRP) era diventato un escamotage per provare a lasciare la patata bollente di un Comune sempre più al verde in mano a chi l’avrebbe amministrato in futuro. Poi sono arrivati i controlli e le aule delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti. E lì, davanti al presidente Mario Pischedda e sei consiglieri, Palazzo dei Bruzi si è difeso sostenendo di poter violare la Costituzione. I sette magistrati hanno ordinato di dichiarare il dissesto e da oggi la sentenza sarà materia per la Procura della Repubblica e quella della Corte dei Conti.

Niente obiettivi intermedi, niente controlli

Tra le argomentazioni che il Comune ha tentato di utilizzare a sua discolpa, c’è quella secondo cui il piano di riequilibrio aveva un obiettivo finale – i conti di nuovo in ordine – e non obiettivi intermedi. Ergo, i controlli intermedi extra fatti dalla Corte dei Conti non sarebbero stati legittimi. Una sorta di ingerenza non necessaria e tardiva, sempre secondo il Comune, visto che da Palazzo dei Bruzi ogni sei mesi i revisori inviavano le loro relazioni ai magistrati contabili. E la Corte avrebbe potuto avere maggiore fiducia e indicare prima i correttivi necessari al riequilibrio, invece di intervenire solo per chiedere il dissesto.

I giudici fanno a pezzi questa ipotesi: «Ammettere che un PRFP possa non avere obiettivi intermedi, significa ammettere la possibilità che il bilancio venga effettivamente riequilibrato soltanto nella parte finale del periodo previsto dal piano». Si tratterebbe, altrimenti, di un intramontabile classico italiano: lo scaricabarile. «Qualora il PRFP coinvolga diverse compagini amministrative, finirebbe con scaricare l’onere del riequilibrio su quella in carica nell’ultimo periodo di validità del piano», scrivono. Ma non solo: ipotizzare che conti solo il risultato finale come ha provato a fare Cosenza violerebbe il Tuel e «il precetto costituzionale dell’equilibrio di bilancio per tutto il tempo di durata residua del piano».

Quanto alle ingerenze e la sfiducia, il discorso avrebbe potuto aver valore in presenza di buona fede. Ma non può averne certo «chi non rispetta obblighi che lui stesso si è dato» , ossia una «amministrazione che era, o comunque doveva essere perfettamente a conoscenza» del peggioramento della propria situazione finanziaria. Tanto più se dai controlli tanto contestati emergono conti sempre più in rosso e la «impossibilità di raggiungere l’equilibrio».

Bilanci gonfiati e verità nascoste

Il dissesto del Comune, anno dopo anno, si fa inevitabile. E gli atti prodotti diventano talmente assurdi che a un certo punto, a dar loro retta, «dovrebbe dedursi che l’ente sin dal 1/01/2015 era uscito dal PRFP». Siamo di fronte ad un’inequivocabile «non rispondenza a realtà dei documenti contabili, discordanza che risale al 2014 e si è trascinata sino ad oggi». Nel consuntivo del 2014, addirittura, si parla di un avanzo di amministrazione pari a oltre 100 milioni, che sarebbe bastato a uscire dalle procedure di riequilibrio già dal 2015. Ovviamente, se il dato fosse stato veritiero. Ma è «significativo» che il Comune non abbia provato ad avvalersi di questa facoltà e sia finito, invece, in dissesto.

Quattro anni dopo, il consuntivo 2018 non contiene «i debiti fuori bilancio che a tale data esistevano» . In compenso al suo interno si trovano «numerosi residui attivi riferiti ad esercizi pregressi con un alto tasso di inesigibilità e residui attivi insussistenti». La Corte ha accertato che «il bilancio comunale è con ogni probabilità gonfiato dalla presenza di circa 11,6 mln di residui attivi per entrate da alienazioni di beni materiali e immateriali». Soldi che se usati per realizzare opere, osserva il collegio giudicante, si trasformano in un disavanzo occulto.

Crescono spese e debiti fuori bilancio

Le criticità che hanno condotto al dissesto proseguono. Palazzo dei Bruzi ammette il mancato incremento dei proventi tributari, il mancato recupero dell’evasione fiscale, il mancato contenimento della spesa corrente. Quest’ultima, nel triennio 2016-2018 aumenta quasi dell’11%, passando da 72 a 80 milioni circa. Nel frattempo alla lista delle cambiali da saldare si aggiungono altri 10 milioni da pagare alla Regione per lo smaltimento rifiuti dal 2014 al 2018. Per i magistrati sono «debiti fuori bilancio particolarmente gravi, perché, trattandosi di spese obbligatorie, denotano il mancato adempimento di funzioni essenziali». E si vanno ad aggiungere ad altri 27 milioni (per il Comune erano 24) ancora da riconoscere in consiglio comunale. C’è un disavanzo di quasi 115 milioni di euro. La sala Catera, lo scorso agosto, ha approvato una delibera secondo cui la cifra ammontava invece a poco più di 11,5 milioni.

Pignoramenti e anticipazioni mai restituite

A piazza dei Bruzi il deficit cresce e rispettare gli impegni diventa sempre più difficile. Il fondo cassa si assottiglia anno dopo anno e nel 2017 e 2018 viene svuotato dai pignoramenti. Si ricorre a ininterrotte anticipazioni di tesoreria, ma a fine 2017 non risultano restituiti poco meno di 12 milioni. L’anno dopo se ne aggiungono altri 16 e il debito verso il Tesoriere tocca i 28 milioni. Per pagare la spesa corrente vengono usati fondi vincolati: nel 2017 non vengono reintegrati 10,2 milioni, dodici mesi dopo altri 2,6.

Il Comune non lo nega, ma dice di poter risolvere tutto e scongiurare il dissesto con una delibera di Giunta. Che arriva e parla di circa 50 milioni, necessari a restituire le anticipazioni. Il giorno dell’udienza che ha confermato il dissesto, riferirà però il difensore del municipio, «il saldo aggiornato del fondo cassa prevede un’anticipazione di tesoreria di 26.000.612,00, attualmente utilizzata per euro 21.000.009,00 e che vi sono somme “riservate” per € 4.200.000».

Tributi non riscossi? Cassa vuota

Ad ingigantire il vuoto delle casse si aggiunge la conclamata incapacità di incassare i tributi, nonostante gli accertamenti si moltiplichino. Ma un «accertamento senza riscossione costituisce un’entrata solo potenziale, non essendo altro che un mero diritto di credito». Per iscrivere le somme da incassare a bilancio servono presupposti giuridici ed economici invece assenti. E più passa il tempo, più è facile che quel credito non riscosso svanisca.

A Cosenza invece «si è fatto fronte a spese effettivamente sostenute con entrate potenziali di dubbia esigibilità. Ne è scaturito uno squilibrio di bilancio dinamico che l’ente invece di risolvere, compensa con il costante ricorso ad anticipazioni di cassa, impedendo l’emersione del deficit e della conseguente concreta incapacità di evadere le obbligazioni contratte». Ed ora a pagarne le conseguenze saranno i cosentini.

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