venerdì,Marzo 29 2024

Fidarsi degli amici

Più della sconfitta di Venezia, preoccupa la frattura che si è determinata tra la società e i tifosi. Inquadrati come “nemici”, mentre sono l’unico motivo di orgoglio dell’ennesima stagione sconclusionata

Fidarsi degli amici

Questo Minamò, al contrario delle lenzuolate a cui siete abituati, sarà molto breve. Sulla parte calcistica, infatti, c’è davvero poco da dire. Dopo la sconfitta di Venezia, solo una vittoria e un pareggio nelle prossime due partite possono permettere al Cosenza di ritrovare la rotta. In Laguna si è tornata a vedere la stessa formazione balbettante dell’ultimo Dionigi. Se Viali era stato bravo a lavorare su testa e gambe dei suoi dopo l’esordio di Pisa, non lo è stato altrettanto a margine del pari in extremis del Brescia. Una mediana svuotata dall’assenza di Calò, un campo pesante sul quale i nostri brevilinei sono stati surclassati da un avversario normale (e modestissimo in difesa), gli errori individuali di Lavardera nella prima frazione (meglio nella seconda) e di un Marson ingenuo nella collocazione della barriera sul 2-0 hanno confezionato l’ennesimo ko in trasferta.

Se non arrivassero quattro punti nelle prossime due gare, è altamente probabile chiudere il 2022 in coda alla classifica. Solo un mercato serio, e non il mercatino delle ultime stagioni, può salvare questo Cosenza.

E quindi il mio Minamò sarebbe bell’e finito qui, con tanti agrumi per Natale e Capodanno, perché fino a gennaio non ho davvero altro da dire. E quel poco si sintetizza, purtroppo, in qualche riflessione sulle multe che sono state notificate nei giorni scorsi ad alcuni ultrà insieme alle minacce di Daspo per un coro offensivo durante il match col Perugia.

C’è stato un tempo in cui, anziché arrivare dai monaci trappisti, il devi morire veniva rivolto proprio dalle curve (se non da interi stadi) ai calciatori avversari infortunati. Sinceramente non lo rimpiango. E me ne guardo bene dal difendere turpiloqui e insulti, anche in questo caso, per quanto mi risultino essere stati talmente circoscritti e isolati da non poter nemmeno essere definiti cori. Tutt’altro. Ma spostare il recinto dei rapporti tra tifoseria e società da quello calcistico a quello giudiziario non può che definirsi un gravissimo errore. 

È soprattutto una prova di forza di cui non c’era sinceramente alcun bisogno. Sul piano calcistico, dopo cinque anni di serie B inchiodati nei bassifondi della classifica, sempre senza uno straccio di progetto, qualsiasi contestazione appare ragionevole. Muovere la contesa su un altro terreno, quello delle multe e dei Daspo, è la prova definitiva che non esiste autocritica, che non interessa emendare gli errori e che ci si ritiene “padroni” più che “proprietari”. Indica, in poche parole, la fine di qualsiasi rapporto tra società e tifosi.

Come molti genitori, anche mio padre mi ammoniva: dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io. Ho sempre ribattuto con Guccini, anche perché quella strofa sulla gente che non è razza padrona, ma che è di casa in serie B me la sono sempre sentita cucita addosso.

Quando ho letto l’iniziativa porta un amico allo stadio per la gara con l’Ascoli, per prima cosa mi è venuto da sorridere: i miei, forse, non sarebbero benvenuti. Poi ho pensato che dovrei voler molto male a quell’amico che volessi portare a vedere il Cosenza, col rischio di sottoporlo al tormento di una partita simile a quella di Venezia. Dove peraltro, nonostante il meteo avverso e attacchi influenzali in famiglia, stavo per avviarmi anche io domenica scorsa. E dove invece, più forti della mia poltroneria, sono andati ancora una volta in centinaia.

E tuttavia, se proprio volessi portare un amico allo stadio, l’unica ragione che oggi mi spingerebbe a farlo è questa: osservare da vicino la dignità con cui, per il quinto campionato di fila, la tifoseria cosentina sta seguendo la squadra della propria città. A Ferrara mio figlio era molto disorientato quando, dopo il gol annullato a Rigione sul 5-0, nel settore è partito il coro la vinciamo noi. C’è voluto poco però per spiegargli che questo è quel che farebbe un amico: pungerti nell’orgoglio, spronarti col sorriso, tormentarti per i tuoi errori. Gli amici non brindano sulle macerie che hai provocato. Al massimo ti aiutano a riderne, per ridere del te stesso che le ha prodotte.

Contrariamente a quel che ammoniva mio padre, io mi sono sempre fidato dei miei amici. Perché ho imparato a riconoscerli. Spiace vedere che, purtroppo, qualcuno dopo un decennio sulla tolda della nave che amiamo di più non abbia ancora imparato a farlo.

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