lunedì,Aprile 29 2024

L’OPINIONE | Caivano è il termometro di un governo che non c’è

Provvedimento spot che rischia lo stop per il difetto di ogni carattere di urgenza e che sicuramente produrrà un aggravio dei procedimenti minorili: più processi, più incertezze, tempi più lunghi

L’OPINIONE | Caivano è il termometro di un governo che non c’è

Il gotha dei paperoni dell’industria italiana, la kermesse di Cernobbio, ha espresso preoccupazione per la soppressione del reddito di cittadinanza, ritenendolo invece strumento utile e da approfondire.
Duecento economisti e filantropi multimiliardari hanno scritto una lettera al G20, ultima entità di governance globale, per invitare quei venti governi a tassare i maxipatrimoni e le rendite degli ultramilionari.

Tutti questi appelli hanno un opportunismo sconfinato. Per l’economia italiana di base, quella del piccolo consumo su cui poggiano tanti rivoli gracili, il reddito era un primo cardiomassaggio alla domanda interna e un argine indiretto alla distruzione della contrattazione salariale.

Per gli uomini più ricchi della terra è ancora fondamentale che i loro affari abbiano una cornice pubblicistica su cui lucrare: se quella è esangue e non la rimpolpi con ondate extra, salta il telaio.
Eppure anche questa tattica pelosa lascia capire una cosa: è il tempo dei diritti, non quello dei decreti.

In direzione opposta, il governo dopo i fatti di Caivano: aumento ideologico di restrizioni, senza risultati pratici. I soggetti minori nel diritto italiano non sono dei missili terra aria che vagano ingordi: tra i 14 e i 18 anni già oggi (e ieri) rispondono dei loro illeciti; sotto quella soglia anagrafica, in vario modo possono essere destinatari di misure volte alla loro crescita educativa secondo percorsi guidati -dalla famiglia all’istruzione, passando per l’assistenza sociale.

È un provvedimento spot, insomma, che rischia lo stop per il difetto di ogni carattere di urgenza e che sicuramente produrrà un aggravio dei procedimenti minorili: più processi, più incertezze, tempi più lunghi.

Già un fallimento è il CD “daspo urbano”, perché la sua natura di misura di prevenzione scarsamente tipizzata ha fatto acqua da tutte le parti sin dalla sua adozione. Sono penalizzate in modo chiaramente restrittivo le posizioni singole di chi la subisce, ma non ritornano indietro risultati di sicurezza collettiva. Proprio la situazione a Milano suggerisce il contrario, con la città alle prese con una eterogenea risalita di microcriminalità e un sempre più stabile radicamento di quella “macro” nei settori legali.

Altro punto”forte” dell’ennesimo decretone dovrebbe essere l’impegno punitivo contro la dispersione scolastica. Abbiamo già delle norme molto precise sul punto, sia in ambito penale sia in ambito amministrativo. L’inasprimento è un duplicato che non sana in radice il vulnus delle politiche scolastiche: non ci sono risorse per monitorare e correggere la dispersione.

Altre volte al governo e al ministro Salvini l’operazione è riuscita: cambiare in modo deteriore norme già esistenti con grande fretta e molta attenzione mediatica. È un segnale di partecipazione apparente: è la pretesa del sapere provvedere senza farlo (e soprattutto senza risolvere). Lo sappiamo da tempo: la politica del diritto e dell’esecutivo sono scivolate in questo imbuto da oltre trent’anni. E di solito funziona per il consenso perché siamo a nostra volta affrettati da un’organizzazione di vita che ha continuamente bisogno di sacrificare qualcosa: che sia denaro, tempo o comprensione.

A parlare con le persone dei quartieri colpiti da fatti gravi recenti, a vedere le analisi demoscopiche, ad applicare la logica giudiziaria, stavolta si oscilla tra scetticismo, indifferenza e repulsione. I velocissimi hanno cioè sbagliato strada. Il perimetro del malcontento è molto più largo del campo delle opposizioni politiche, paradossalmente all’interno della stessa maggioranza. Lo si sa bene persino nell’ambito della Lega, bisognosa di dividersi tra governo e umore, tra social e affari pratici.

Prova ne sia che in quella dirigenza si spinge per l’altro spot del ponte sullo Stretto che per carità potrà essere avveniristico. Suona però una presa in giro con otto ore di treno tra Enna e Palermo o tra Palermo e Lamezia. E suona da presa in giro con le risorse del PNRR sottratte dal miglioramento ferroviario. Un conto è rivedere un progetto, un altro è prendere tempo, un altro ancora perdere soldi. Qui, la spirale recessiva la stiamo colmando tutta: non c’è una ristrutturazione della spesa, c’è un peggioramento delle infrastrutture.

Lega e Forza Italia sono tornate anche sull’aumento delle pensioni minime: non riusciranno o, secondo stesse stime governative, riguarderà una platea di beneficiari piccolissima rispetto agli aventi diritto.
La scorciatoia Caivano, e gli indici macroeconomici rimasti in piedi dall’esecutivo Draghi, sin qui avevano espresso una straordinaria luna di miele tra elettori e maggioranze. Adesso che i nodi vengono al pettine il metodo Caivano si rivela una riedizione del Gattopardo. Solo, con un Paese molto più fermo, molto più cattivo.

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