lunedì,Maggio 20 2024

Caso Bergamini, il professor Avato: «Non fu soffocato»

Il medico legale che eseguì per primo l'autopsia individua la causa della morte nell'investimento. E mette in discussione la validità della glicoforina

Caso Bergamini, il professor Avato: «Non fu soffocato»

Prima di essere investito dal camion di Raffaele Pisano, Donato Bergamini non fu soffocato in modo meccanico. I segni di sofferenza polmonare rilevati in laboratorio sono successivi e non precedenti all’incidente mortale del 18 novembre 1989. In tal senso, la rottura dei suoi setti alveolari, non sarebbe una delle prove principe dell’omicidio, bensì una reazione dell’organismo a ben altro insulto: il passaggio del pesante automezzo sul suo corpo.

Sono le conclusioni a cui è giunto il professor Francesco Maria Avato. Lui stesso lo ha spiegato in modo chiaro, quasi scolastico, nel corso dell’ennesima udienza – la cinquantatreesima – del processo che si propone di far luce sui tragici fatti di Roseto Capo Spulico e vede Isabella Internò imputata con l’accusa di omicidio volontario. Avato, che all’epoca dirigeva già l’istituto di medicina legale dell’Università di Ferrara, è colui il quale per primo ha eseguito l’autopsia sull’allora calciatore del Cosenza, a cinquanta giorni dal suo decesso. È un personaggio chiave della vicenda al quale, per troppo tempo, è stato assegnato il ruolo di oggetto misterioso. Oggi, infatti, era la prima volta in trentaquattro anni che veniva sentito con riferimento al caso Bergamini. Il suo nome figurava nella lista dei testimoni della difesa, ma non in quelle di Procura e parte civile. E in aula se ne sono intuite le ragioni.

L’ultimo respiro

Il noto luminare – si è occupato tra gli altri del caso Pantani – non ha dato alcuna sponda alla teoria dell’omicidio associato al soffocamento. A suo avviso, Bergamini era certamente vivo quando fu investito, tant’è che oggi come allora, fa risalire la causa della morte allo schiacciamento determinato dalla ruota del camion. «La ferita sull’addome – ha precisato – non mostrava grandi segni di vitalità, ma ciò è dovuto alla rapida fuoriuscita del sangue determinata dalla rottura dell’arteria iliaca».

Tutto si sarebbe consumato nel giro di pochi secondi. Prova ne è anche il fatto che, in sede autoptica, il cuore dell’atleta si presentava completamente asciutto. Non c’era sangue. «Ha continuato a pompare a vuoto per un po’ prima che spirasse. E questo ha determinato diversi scompensi nel suo organismo». Tra questi, anche le tracce di enfisema su polmoni «iperespansi» che nella rappresentazione dell’accusa dimostrano ben altro, ma che secondo Avato documentano solo l’ultimo respiro di un Bergamini «colto di sorpresa» dall’incontro ravvicinato col camion. Per lo specialista, insomma, non ci sono elementi per immaginare che una mano assassina possa aver cinto il collo del calciatore con una busta di plastica o un cuscino. «I conti non mi tornano» ha ripetuto più volte. In caso contrario, un’asfissia meccanica avrebbe lasciato segni ben visibili «sulle labbra, negli occhi, sul cervello». Ipostasi accentuate che invece erano leggere, pressoché assenti. Insomma, nulla di tutto questo.

I dubbi sulla glicoforina

E poi la glicoforina. Tema dolente. È la proteina al centro di un nuovo metodo di analisi immunoistochimica. Con quello l’accusa ritiene di aver risolto il caso, ma anche su questo tema Avato si è mostrato più che perplesso. «C’è glicorofina nella membrana dei globuli rossi – ha spiegato – e quindi nel sangue. Ma chi ci assicura che sia soltanto lì e non in altre cellule del nostro corpo? Ancora non mi risultano studi al riguardo». Ha aggiunto poi di essere ricorso in passato all’immunoistochimica e «dopo aver utilizzato i kit di sedici marche diverse ho ottenuto sedici risultati diversi». La glicoforina, inoltre, è essa stessa soggetta a deterioramento e «per falsare l’esame basta anche una piccola variazione della molecola in analisi, determinata dal tempo o dalla putrefazione». In estrema sintesi, l’impiego della glicoforina non assicura quel grado di certezza scientifica necessario in ambito forense, anche perché allo stato attuale, ha concluso Avato, «sono in corso studi su almeno altri duemila tipi di proteine».

Risultati contraddittori

Procura e parte civile hanno provato a intaccare la sua ricostruzione, ma Avato ha replicato di volta in volta mantenendo ferme le proprie tesi. «La medicina è una cosa seria» ha chiosato in risposta a una domanda del pm Luca Primicerio. Il principale affondo lo ha tentato la parte civile. L’avvocato Alessandra Pisa ha fatto leva sui risultati della seconda autopsia, quella eseguita nel 2017 da altri medici legali che, proprio grazie alla glicoforina, ritengono di aver individuato una lesione alla laringe “sfuggita” agli occhi di Avato. Quest’ultimo però ha escluso la presenza di segni di questo tipo nella gola del calciatore, circostanza che peraltro più che a un’asfissia avrebbe dovuto rimandare a «uno strangolamento». Che però non c’è.

Medici a confronto

Che non sarebbe stata un’udienza a loro favorevole, Procura e parte civile lo sapevano. Forse anche per questo avevano convocato in aula i consulenti del pm Margherita Neri e Roberto Testi e, soprattutto, il professor Vittorio Fineschi. È il principale sponsor del metodo “Glicoforina”, nonché uno dei maggiori studiosi, ma non è consulente di alcuna delle parti in causa. E non ha partecipato alla riesumazione della salma di Bergamini. Tuttavia, è stato sentito durante il processo come «testimone qualificato». Il pubblico ministero ha chiesto un confronto in aula con Avato da una parte e questo terzetto di specialisti dall’altra.

La Corte ha dato il via libera malgrado le rimostranze della difesa e così l’udienza è si è protratta per un altro paio d’ore. Ognuna delle parti ha ribadito le proprie convinzioni in materia, senza trovare punti d’incontro sui temi caldi della vicenda. Fineschi, in particolare, ha rivendicato la validità scientifica della glicoforina, che nella sua prospettazione è applicata in ambito forense «dal Giappone alla Nuova Zelanda, passando per tutt’Europa». Si è anche rivolto direttamente ai giudici dicendo loro di non dubitare delle sue conclusioni. «Ho grande stima per la scuola del professor Fineschi» ha affermato Avato di rimando, aggiungendo però che «prima di trasferire determinate convinzioni dall’ambito clinico a quello dei tribunali, serve molta cautela». Prossima udienza il 25 gennaio.