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“Reset”, la “cimice” a casa di Patitucci: «Boss indiscusso del clan ma non gradiva l’unione con gli “zingari”»

Lungo esame dibattimentale di un ispettore di polizia in servizio presso la Squadra Mobile di Cosenza. Ecco cosa è emerso

“Reset”, la “cimice” a casa di Patitucci: «Boss indiscusso del clan ma non gradiva l’unione con gli “zingari”»

L’ultima udienza settimanale di “Reset” è stata importante per ricostruire le presunte vicende associative in merito ai clan di Cosenza. In aula ha testimoniato l’ispettore di polizia Rocco Francesco Silvestri, in servizio presso la Squadra Mobile di Cosenza, uno degli operanti di polizia giudiziaria più informati sulle dinamiche criminali nella città dei bruzi. E al termine del controesame è uscita fuori una dichiarazione che potrebbe cambiare l’idea di confederazione.

L’esame dell’ispettore Silvestri

«Come Squadra Mobile abbiamo seguito le indagini divise in tre filoni. Una sezione si è occupata delle estorsioni, un’altra ha concentrato le “attenzioni” investigative sul gruppo “Banana” e la mia invece si è interessata a Francesco Patitucci e Mario “Renato” Piromallo. Come fonti di prova abbiamo avuto in entrambi i casi, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia: Celestino Abbruzzese, Franco Bruzzese, Roberto Violetta Calabrese, Angelo Colosso, Carmine Cristini, Vincenzo De Rose, Vincenzo Dedato, Adolfo Foggetti, Ernesto Foggetti, Francesco Galdi, Silvio Gioia, Luciano Impieri, Edyta Kopaczynska, Daniele Lamanna, Marco Massaro, Giuseppe Montemurro, Francesco Noblea, Alberto Novello, Anna Palmieri, Marco Paura, Luca Pellicori, Mattia Pulicanò, Pierluigi Terrazzano e Giuseppe Zaffonte».

Il boss che non usa cellulari

«Francesco Patitucci è stato investigato inizialmente dai colleghi della Guardia di Finanza di Cosenza. Un’indagine ad ampio raggio visto che coinvolgeva anche altri suoi familiari. Le nostre indagini cominciano all’indomani della sua scarcerazione, quando il giorno dopo», ovvero il 5 dicembre 2019, «si presenta in Questura per essere sottoposto di nuovo alla misura della Sorveglianza speciale». «Patitucci – ha riferito Silvestri – non usa cellulari e in quel momento decidiamo di richiedere l’autorizzazione ad intercettare l’utenza telefonica utilizzata da Rosanna Garofalo, all’epoca sua moglie. L’utenza era intestata a un’altra donna». Ma la sezione della Squadra Mobile che aveva la delega per indagare sul boss di Cosenza non si è accontentata di quel decreto autorizzativo e ha sollecitato l’autorità giudiziaria a invocare l’installazione di una “cimice” a casa dello stesso Patitucci. Non solo la “cimice“, ma anche diverse telecamere che permettevano di monitorare i movimenti del boss cosentino. «Le investigazioni ci hanno consentito di appurare quanto pensavamo, ovvero che Patitucci fosse il boss indiscusso del clan degli italiani. I suoi sodali lo incontravano nella sua abitazione, abbiamo così avuto la possibilità di riscontrare soggetti che andavano a casa sua anche soltanto per chiedere aiuto».

I rapporti criminali con la “Stella”

L’ispettore di polizia ha menzionato alcune persone che avrebbero parlato con il boss dentro le mura di casa, tra cui un presunto appartenente al già clan “Bruni-zingari“. Nell’elenco dei soggetti legati alla ‘ndrangheta cosentina c’è pure Michele Di Puppo, ma non vi sono stati riscontri sulle conversazioni. Parliamo di un arco temporale leggermente antecedente allo scoppio della pandemia da Covid-19. «Di Puppo, secondo quanto riferito dal pentito Zappia, aveva acquisito un altro “merito”, ovvero la dote della “Stella“», ha ricordato Silvestri.

Nell’appartamento di Patitucci «arriva anche un soggetto riconducibile al clan “Tundis-Calabria” di San Lucido» ha spiegato l’ispettore per ribadire il concetto accusatorio secondo cui Patitucci è il capo della presunta confederazione mafiosa cosentina, a cui tutti si rivolgevano per attività illecite e/o “consigli”. Come nel caso di Marco D’Alessandro, presunto partecipe del “sottogruppo” di Michele Di Puppo, entrambi imputati nel rito abbreviato in corso di svolgimento a Catanzaro. A casa del boss si era presentato anche Antonio Illuminato e questo, secondo il testimone, sarebbe la dimostrazione dell’esistenza della presunta associazione mafiosa. «Parlano di estorsioni, usura, traffico di droga e dei soldi divisi in maniera equa con Piromallo e Ariello mentre Illuminato veniva “stipendiato”». Altra presenza riscontrata dalla polizia è quella di Alessandro Catanzaro, ritenuto vicino all’ex “reggente” del clan “Lanzino-Patitucci“, Roberto Porcaro. Qui arriva il tema degli “stipendi” che ha suscitato la reazione degli avvocati – nello specifico dei penalisti Fiorella Bozzarello e Giuseppe Malvasi – nella parte in cui il testimone, ha fatto riferimento alle elargizioni degli imputati ai rispettivi legali. Che in realtà sono onorari e non “stipendi”.

Le altre rimostranze degli avvocati

Gli “stipendi” sono comunque un filone investigativo collegato ai boss del passato, un teorema accusatorio, quello della Dda di Catanzaro, che mira a dimostrare la continuazione del vincolo associativo di personaggi del calibro, tra gli altri, di Gianfranco Ruà e Gianfranco Bruni. L’esame, tuttavia, si è basato soprattutto sui Rit che, secondo l’avvocato Filippo Cinnante, non sono stati “raccontati” fedelmente dal testimone. Obiezione sollevata dal penalista che ha trovato d’accordo il presidente del collegio giudicante Carmen Ciarcia, il quale ha invitato l’ispettore a riferire su quanto era stato sintetizzato riguardo all’intercettazione richiamata.

Altra polemica venuta a galla nel dibattimento è quella riferita ai dati investigativi su posizioni che non sono in ordinario, come ha fatto notare l’avvocato Cesare Badolato. In sostanza, parlando di Patitucci e di tutti i suoi presunti sodali, che hanno scelto quasi tutti il rito abbreviato, si inseriscono elementi che possono essere trasferiti dalla pubblica accusa, vista l’entrata in vigore della riforma Cartabia, come dato documentale “neutro” nel rito alternativo.

Nel mentre, il testimone, indicando Patitucci e non solo, ha fatto riferimento a una presunta estorsione in danno di un titolare di una nota gioielleria cosentina, «che, sentito a sommarie informazioni, ha confermato il tutto». Poi è stato menzionato un incontro avvenuto il 15 maggio 2019 tra Mario “Renato” Piromallo e Nicola Abbruzzese, alias “Semiasse“, sul quale Silvestri ha detto che «in quel momento ritenevamo essere il “reggente” del clan degli “zingari” di Cassano Ionio, essendo il fratello di Francesco Abbruzzese detto “Dentuzzo”». Tra gli argomenti trattati anche un presunto summit di mafia a casa di Massimo D’Ambrosio. Si tratta di un’intercettazione telematica in cui sono individuati anche Adolfo D’Ambrosio, Ivan Montualdista, Mario “Renato” Piromallo e Salvatore Ariello.

Da Maione a Morrone

Nel corso dell’istruttoria si è parlato anche della presunta aggressione ai danni di Massimo Maione, vicino a Mario “Renato” Piromallo. Maione sarebbe stato picchiato da Roberto Porcaro, Luigi Abbruzzese, Nicola Abbruzzese, Marco Abbruzzese e Alessandro Morrone, imputato in ordinario. Un fatto che sarebbe stato ripreso parzialmente dalle telecamere piazzate dalla polizia: «Quello che è successo nel parcheggio non lo abbiamo visto, lo deduciamo dal fatto che Maione aveva una ferita in testa», ha dichiarato il teste, ma che poteva essere stata causata pure da altri fattori, come il tentativo di superare un guardrail.

Nell’ambito di questa vicenda si è registrato un attimo di tensione tra accusa e difesa, riguardo all’orario di ascolto di una voce. Il presidente Ciarcia, dopo aver tollerato lo scambio di battute, ha “zittito” le parti, invitando il teste a riprendere la deposizione. Alessandro Morrone (proprietario di una rivendita di frutta) suo malgrado sarebbe stato aggredito da Piromallo il quale avrebbe tirato un casco in testa all’imputato-vittima. Ricostruzione fatta dalla polizia mediante un’intercettazione ambientale. «Questa cosa ha suscitato le ire dei clan perché erano stati toccati soggetti vicini sia a Piromallo che a Porcaro e agli AbbruzzeseBanana“» ha aggiunto Silvestri, menzionando sul punto le parole del pentito Luciano Impieri che aveva parlato dei soggetti coinvolti. Un altro argomento portato all’attenzione della Corte è quello di una presunta usura e di altre vicende collegate alla posizione di Rosanna Garofalo, imputata non solo di associazione mafiosa.

Il controesame

Il primo avvocato a porre domande al teste è stato Giuseppe Malvasi, il quale ha chiesto a Silvestri se abbia appurato che Alessandro Morrone fosse “sotto usura” da parte di Roberto Porcaro: «No», ha risposto l’ispettore. A seguire il co-difensore Domenico De Rosa che si è soffermato sul presunto debito del suo assistito nei confronti dell’ex “reggente” degli italiani. Poi è stata la volta di Filippo Cinnante, difensore di Giuseppe Iirillo. «Ha accertato altri rapporti se non quelli dichiarati prima con Patitucci?» ha domandato. «Solo al compleanno di Rosanna Garofalo», ha replicato. «Si è parlato di “stipendi” a Iirillo? No mai». Il legale si è focalizzato pure su Sergio Raimondo. Il noto gioielliere di Cosenza non ha mai fatto riferimento a Raimondo, ha spiegato il teste rispondendo alla domanda dell’avvocato Cinnante.

L’avvocato Francesco Gelsomino ha posto quesiti su Alessio De Cicco riguardo i capi d’accusa che gli vengono contestati e per la sua conoscenza con Patitucci. A seguire l’avvocato Amelia Ferrari per la posizione di Massimo D’Ambrosio. «Nella nostra informativa abbiamo solo rappresentato l’incontro» ha evidenziato il teste. «Qualche giorno prima era stato scarcerato il fratello Adolfo». Sollecitato dal difensore Silvestri ha detto che nella conversazione captata a casa di Massimo D’Ambrosio «non si parla di reati». Infine l’avvocato Maurizio Nucci, legale di Antonio De Rose, circa i rapporti con Simone Ferrise, imputato in abbreviato, e l’avvocato Laura Gaetano, difensore di Rosanna Garofalo. «Le intercettazioni sono iniziate il 14 febbraio 2020», giorno di “San Valentino“.

La Garofalo, fin quando erano insieme, accompagnava Patitucci negli spostamenti da casa verso il luogo di lavoro, a Montalto Uffugo, visto che era stato assunto dal nipote Patrizio Chiappetta. «Ci sono riscontri sul fatto che incontrasse persone lungo il tragitto?» ha chiesto il difensore. Il teste ha citato la visita da un dentista per un appuntamento odontoiatrico e la conversazione con un titolare di un’azienda situata nella zona industriale di Rende. «Da Patitucci andavano gli “zingari“? No, in strada forse si è visto con “Mano Mozza“», ha chiarito l’ispettore. «Patitucci non gradiva l’unione di Roberto Porcaro con gli “zingari”» ha affermato Silvestri. In conclusione, quando a casa Patitucci entrano i “sodali” del boss, la voce di Rosanna Garofalo non viene ascoltata. «Non prende parte alla discussione», ha specificato il teste. Anche quando nell’appartamento entrano Sergio Raimondo, Luigi Avolio e Michele Di Puppo.

Nel finale di udienza sono intervenuti i difensori Giorgia Greco, Gianluca Garritano (con domande su D’Alessandro e l’unica visita a casa di Patitucci) e Fiorella Bozzarello. Nel primo caso, l’approfondimento difensivo è stato basato su una presunta usura contestata a Silvia Guido. Sui contatti della donna con Patitucci il teste ha dichiarato che «ci sono stati altri rapporti ma che non riguardano questo procedimento», facendo presuppore che ci sia altro su cui vige il segreto istruttorio. «Posso dire che quando eseguimmo l’ordinanza della Corte d’Assise, dopo la sentenza Lenti-Gigliotti, Patitucci veniva chiamato da Silvia Guido». Ed ecco l’avvocato Bozzarello: «A casa di Patitucci si è mai parlato di una società di security?» ha domandato la penalista. «Nel Rit 81-20 no. Ariello coinvolto in reati fine in questo procedimento? Neanche». Si tornerà in aula a febbraio.

Processo “Reset”, rito ordinario: gli imputati

  • Fabrizio Abate (difeso dall’avvocato Filippo Cinnante)
  • Giovanni Abruzzese (difeso dagli avvocati Giorgia Greco e Antonio Quintieri)
  • Fiore Abbruzzese detto “Ninuzzo” (difeso dagli avvocati Mariarosa Bugliari e Francesco Boccia)
  • Franco Abbruzzese detto “a Brezza” o “Il Cantante” (difeso dall’avvocato Antonio Quintieri)
  • Rosaria Abbruzzese (difesa dagli avvocati Antonio Quintieri e Filippo Cinnante)
  • Giovanni Aloise detto “mussu i ciuccio” (difeso dall’avvocato Gianpiero Calabese)
  • Pierangelo Aloia (difeso dall’avvocato Giulio Tarsitano)
  • Armando Antonucci detto il dottore (difeso dall’avvocato Enzo Belvedere)
  • Rosina Arno (difesa dagli avvocati Luca Acciardi e Fiorella Bozzarello)
  • Ariosto Artese (difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Giorgio Misasi)
  • Rosario Aurello (difeso dall’avvocato Ferruccio Mariani)
  • Danilo Bartucci (difeso dall’avvocato Giuseppe Manna)
  • Giuseppe Bartucci (difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Nicola Carratelli) (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati)

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