domenica,Maggio 19 2024

Caso Bergamini, Luciano Conte: «Siamo vittime di un linciaggio mediatico»

Lunga e drammatica testimonianza in aula del marito di Isabella Internò, nel 1989 era un poliziotto in servizio nella Squadra mobile di Palermo

Caso Bergamini, Luciano Conte: «Siamo vittime di un linciaggio mediatico»

Il cameriere sta per prendere l’ordinazione, ma poi si rivolge alla donna che siede al tavolo e le dice: «Ah, lei è Isabella Internò, l’assassina di Donato Bergamini». Questo episodio, avvenuto in un pub della città, Luciano Conte lo ha raccontato oggi in coda alla sua lunga e sofferta testimonianza. La scena era quella del processo Bergamini. E in aula c’era proprio lui, il marito dell’imputata, già fidanzata dell’ex calciatore del Cosenza, Donato Bergamini, morto tragicamente il 18 novembre del 1989. «Un suicidio» ha sempre sostenuto la Internò, all’epoca diciannovenne e testimone oculare della scena. Un omicidio mascherato da suicidio, sostiene oggi la Procura. Che poi è il tema del processo.

È il secondo tentativo di dimostrare questa tesi, dopo una prima inchiesta avviata nel 2011 e conclusa nel 2014 con l’archiviazione. In aula, Conte ha ripercorso lo psicodramma che lui e i familiari vivono ormai da tredici anni. «Un massacro, un linciaggio mediatico senza precedenti». In tal senso, l’incidente del pub è solo uno dei tanti episodi che hanno messo sotto pressione lui e la sua famiglia. Non a caso, il sovrintendente di polizia oggi in pensione, ha fatto accenno anche all’inferno vissuto in questi anni dalle loro figlie: «Ogni volta che usciva una notizia sul giornale, non andavano a scuola. Una di loro è stata in cura da uno psicologo. Avevo paura quando uscivano di casa da sole. In questa storia, sono stati volutamente coinvolti i tifosi, e temevo che qualcuno un po’ più acceso potesse prendersela con loro».

All’epoca dei fatti lui è ancora un poliziotto in servizio alla Squadra Mobile di Palermo. «Con Isabella – ha affermato – c’erano solo rapporti telefonici. Ci eravamo visti un paio di volte. Ci siamo fidanzati intorno a febbraio o marzo del 1990». Il 7 dicembre del 1992 poi quella ragazza diventerà sua moglie. Della triste vicenda avvenuta a Roseto Capo Spulico, sostiene, non hanno mai parlato. Se non a partire dal 2011, dopo la riapertura del caso. «L’avevo chiamata una sera da Palermo, per salutarla. E lei mi raccontò che il suo ex, con il quale si era lasciata da sei o sette mesi, si era buttato sotto a un camion davanti ai suoi occhi. Aveva la voce tremante, provai a tranquillizzarla, dicendole di provare a dimenticare quel brutto momento. E di rimuoverlo».

È proprio Isabella, già nell’immediatezza a fare il suo nome al magistrato Ottavio Abbate, presentandolo come «amico di famiglia» con il quale intratteneva «rapporti telefonici». L’allora pm Ottavio Abbate dispone accertamenti immediati sul suo conto. Ed emerge, senza ombra di dubbio, che nella sera fatale, Conte si trovava in caserma, nel capoluogo siciliano. Ciò nonostante, nel 2018, anche lui finirà nel tritacarne giudiziario. «Per un’intercettazione del 2012 – ha spiegato il diretto interessato – mentre accompagno mia moglie in Procura che doveva essere sentita come persona informata sui fatti. La esorto a dire la verità, solo la verità, e nel caso in cui non avesse ricordi nitidi su alcuni fatti, a dire semplicemente: non ricordo».

Il risultato, sei anni più tardi, è la sua iscrizione nel registro degli indagati con l’accusa – poi archiviata – di favoreggiamento. Ma non solo. In quel periodo, Conte era in servizio già da diversi anni presso la sezione della pg di Paola. «Quella intercettazione era stata già valutata dal procuratore Bruno Giordano, senza che lo stesso avesse avuto alcunché da ridire. Sei anni dopo, il suo successore Pierpaolo Bruni comunicherà al questore di Cosenza che proprio in virtù di quella captazione, il nostro rapporto fiduciario poteva considerarsi interrotto. Alla fine mi hanno trasferito a Lamezia».

Il suo nome era inserito solo nella lista degli avvocati Angelo Pugliese e Rossana Cribari. Il pm Luca Primicerio gli ha posto poche domande, tra cui quella sull’aborto affrontato da Isabella nel 1987. «Non ne sapevo nulla. L’ho saputo solo dopo la riapertura dell’inchiesta. Me l’ha detto mia moglie. Era molto imbarazzata, ma io le dissi che erano fatti precedenti alla nostra relazione, e che non doveva preoccuparsi di nulla». Non figurava nell’elenco della Procura e neanche in quello della parte civile. Ciò nonostante, se accusa e difesa hanno ultimato il loro compito in circa tre quarti d’ora, i legali Fabio Anselmo e Silvia Galeone, in rappresentanza dei familiari di Bergamini, hanno impiegato più di tre ore.

In particolare il primo, gli ha fatto ascoltare una serie di intercettazioni che lo riguardano. Il suo obiettivo era mettere in risalto la presunta «preoccupazione» di Conte per gli avanzamenti dell’inchiesta nonché il suo interessamento sospetto per ciò che avevano dichiarato – o stavano per dichiarare – ai magistrati la sua consorte e gli altri familiari. «Non ero preoccupato per i risultati dell’inchiesta» ha affermato il testimone, «lo ero per mia moglie e per le mie figlie. Per tutto il contesto che si era creato. Leggendo gli atti, ho avuto la sensazione che si stesse facendo di tutto per trovare a forza un colpevole. E che ogni qualvolta usciva un indizio favorevole a Isabella, questo veniva messo da parte».

Anselmo gli ha fatto ascoltare i dialoghi tra lui e la consulente di parte Liliana Innamorato – durante le indagini sono stati intercettati e trascritti finanche quelli – e poi alcuni violenti litigi tra lui e la moglie captati in modalità ambientale. Quelle discussioni, oltre a immortalare il dramma familiare in corso, danno la conferma di come Conte, nel 2011 così come nel 2018, fosse all’oscuro di diversi particolari del rapporto tra Bergamini e l’allora giovanissima Isabella. Li apprendeva proprio in quei giorni. In precedenza, parlando della sua futura moglie l’aveva definita «una ragazza molto libera, con alle spalle una famiglia molto moderna per quei tempi. Non aveva l’obbligo di rientrare a casa a una determinata ora. E se dovevamo restare fuori per un fine settimana, non si poneva alcun problema».

Una delle intercettazioni in cui si accende maggiormente è quella in cui contesta alla moglie il soggiorno a casa dei coniugi Lucchetti a marzo del 1990. In un’altra se la prende con Isabella perché nel 1989, ai magistrati, la stessa dichiarò di «essersi messa qualcosa di carino» prima di incontrare per l’ultima volta Bergamini. «Ma lei reagiva così perché apprendere queste notizie la rendeva geloso?». L’intuizione del presidente della Corte d’assise non trova conferme ufficiali – «No, non ero geloso» – ma chiude idealmente la lunga incursione nella privacy di una persona duramente provata nello spirito, ma non nell’orgoglio.

«Lavorare a Palermo è stata una mia scelta. Ho chiesto io di andare lì perché lo consideravo un fortino, un posto in cui fare esperienza e dare un contributo a sconfiggere la mafia. Negli anni trascorsi in Sicilia, ho preso parte alla cattura di Michele Greco “il papa”. Ho partecipato a operazioni contro tanti mafiosi ed ero amico personale di Antonio Montinaro, il caposcorta di Falcone. Mai avrei pensato di dover subire, un giorno, questa gogna mediatica». Solite scintille in aula tra gli avvocati della difesa e quelli della parte civile. L’avvocato Anselmo, durante l’udienza, si è detto più volte «soddisfatto», dal suo punto di vista, delle risposte fornite dal poliziotto. I lavori sono stati poi aggiornati al prossimo 8 aprile.