domenica,Maggio 19 2024

Caso Bergamini, il consulente di difesa: «Ecco perché non è un omicidio»

La Innamorato contesta la teoria del soffocamento, l'impiego della glicoforina e propone un breve video in cui azzarda una ricostruzione dell'investimento

Caso Bergamini, il consulente di difesa: «Ecco perché non è un omicidio»

Sul corpo di Donato “Denis” Bergamini non ci sono segni che rimandano a una morte per asfissia meccanica violenta. «Né per soffocamento né tantomeno per strangolamento». E l’utilizzo della glicoforina non offre alcuna garanzia in termini di «scientificità dei risultati», specie se applicata su cadaveri vecchi di trent’anni. È questo, in sintesi, il pensiero esplicitato dalla dottoressa Liliana Innamorato sulla scena del processo che mira a far luce sulla morte del calciatore del Cosenza datata 18 novembre 1989. Una vicenda per cui è imputata a piede libero, con l’accusa di omicidio volontario, l’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò, all’epoca dei fatti appena diciannovenne.

«Troppo sangue per essere già morto»

La Innamorato ha fatto capolino in aula proprio in qualità di consulente della difesa. A suo avviso, quando l’atleta finisce sotto una ruota del camion guidato da Raffaele Pisano è ancora vivo e non già morto come sostiene l’accusa. «Lo dimostra la grande quantità di sangue presente sull’asfalto. Un cadavere non può sanguinare in modo così copioso». Le sue obiezioni si sono estese poi alla tecnica che gli assassini avrebbero impiegato per ucciderlo, l’ormai celebre soffocamento “soft”, operato con un cuscino o un sacchetto di plastica. Impossibile, secondo lei, perché in tal caso l’organismo di Bergamini avrebbe reagito, evidenziando segni che non si potevano nascondere. Tra gli altri: petecchie sotto agli occhi, labbra cianotiche, piccole ferite nella bocca che, invece, risultavano completamente assenti.

Dal cloroformio alla glicoforina

Anche sull’eventualità di un impiego del cloroformio o di altre sostanze per narcotizzare il calciatore, la consulente ha espresso forti perplessità: «In quel caso, avremmo dovuto trovare comunque ecchimosi, arrossamenti o piccole bruciature al livello del naso o della bocca». E invece, va da sé, anche di questi segnali non v’è traccia alcuna. Dulcis in fundo, la glicoforina, sostanza con cui altri suoi colleghi ritengono di aver dimostrato che le ferite riportate da Bergamini nell’incontro ravvicinato con il camion fossero «non vitali», cioè che all’atto dell’investimento fosse già morto. Sul punto, la Innamorato ha prodotto copia di diverse pubblicazioni scientifiche che attestano il carattere ancora «sperimentale» di questi metodi legati alla immunoistochimica.

Condizionale e presente

Nulla di nuovo, in verità. A mettere in serie discussione l’attendibilità della glicoforina, infatti, ci avevano già pensato Francesco Maria Avato, il medico legale che eseguì la prima autopsia a gennaio del 1990 – peraltro l’unico ad aver visto il corpo di Bergamini ancora integro o quasi – e poi il professor Pierantonio Ricci, per molti versi nelle vesti da “pentito” dato che, in precedenza, era stato consulente di parte della famiglia Bergamini. La novità, se vogliamo, sta nella lettura di alcuni passaggi di queste relazioni, declamati in aula dalla testimone. Scritti in cui si invita a maneggiare «con cautela» le teorie sulla vitalità o meno delle lesioni se trasferite in ambito forense e giudiziario, per evitare «insinuazioni». Fra gli autori da lei citati, figurano anche i nomi di tre personaggi chiave di questo processo, tutti interpreti in chiave accusatoria: Vittorio Fineschi, Giorgio Bolino e Margherita Neri.

Il controesame del pm

E a proposito di rapidità. Il controesame del pm Luca Primicerio è stato tale, se non di più. Solo un paio di domande, finalizzate a evidenziare la scarsa esperienza professionale della dottoressa Innamorato che ancora non ha all’attivo pubblicazioni su riviste scientifiche di livello internazionale. Un gap che la diretta interessata ha riconosciuto senza imbarazzi di sorta: «Ho fatto parlare la letteratura, non ci ho messo nulla di mio». Del resto, era ancora fresca di specializzazione in medicina legale, nel 2017, ai tempi della riesumazione del corpo di Denis, quando riceve da Isabella Internò – o meglio da suo marito Luciano Conte – l’incarico di rappresentare l’allora indagata Internò in sede d’incidente probatorio. A un certo punto, però, Conte pensa di rinunciare ai suoi servigi, accarezza l’idea di non nominare alcun consulente e di affidarsi al giudizio dei periti del gip.

Il corpo «che parla»

Emerge da diverse captazioni. Durante le indagini, infatti, la Innamorato – così come l’avvocato della Internò, Angelo Pugliese – è stata più volte intercettata in modalità “indiretta” dalla polizia giudiziaria. «Luciano, anche a distanza di tempo, il corpo parla», dice la Innamorato a Conte il 5 ottobre del 2017. E poi ancora, con riferimento alle operazioni peritali allora in pieno svolgimento, paventa risultanze che «destano dei sospetti». Il controesame dell’avvocato Fabio Anselmo, patrono di parte civile, si è focalizzato su quel dialogo a cui, in questi anni, egli stesso ha dato grande rilevanza mediatica.  Per lui, infatti, è la prova che anche la consulente della difesa, in quel frangente, fosse allineata alle tesi colpevoliste. Nulla di tutto ciò per la diretta interessata, che ha ricondotto quel suo modo di esprimersi alla mera retorica. All’epoca, aveva visto solo i vetrini in cui «si evidenziava la positività alla glicoforina» e ne aveva desunto che i suoi colleghi medici legali, in particolare quelli nominati dal gip Teresa Reggio, avessero intenzione «di dare valore» a quel risultato. «Perché allora non ha contestato subito il metodo scelto dai suoi colleghi?» le ha chiesto Anselmo.  «Perché io la glicoforina non l’ho mai usata», è stata la risposta, «e quindi non avevo gli strumenti per contestarli».

L’illusione di Luciano Conte

Quella conversazione, però, sembra rimandare anche a ragioni di tipo economico, a un incarico in bilico e a una parcella che a quel tempo pareva sul punto di svanire. «Non avevo ricevuto alcuna nomina formale» ha ammesso la Innamorato. Dalle intercettazioni, infatti, emerge come, in quei giorni, Conte pensasse addirittura di imitare Raffaele Pisano, il quale, da indagato, aveva rinunciato a portare in aula un proprio consulente di fiducia. Ai timori che la dottoressa tenta di inculcargli telefonicamente, il poliziotto risponde così: «E parlasse il corpo, che deve dire?». E ancora: «Io sono tranquillissimo, siamo con la coscienza a posto». Si dice convinto del fatto che i periti nominati dal giudice «accerteranno i fatti per come sono», ritiene che «non si farà alcun processo». Povero illuso. Povero, povero illuso.

Il confronto tra medici e il video dell’incidente

Come già fatto per Avato e Ricci, Procura e parte civile hanno chiesto poi un confronto tra la consulente della difesa e quelli dell’accusa, Roberto Testi e Margherita Neri, entrambi presenti in aula. Il presidente della Corte, Paola Lucente, ha dato il via libera, ma con riferimento a un solo aspetto tecnico: lo stato dei polmoni di Denis. Discorso chiuso, invece, per quanto riguarda la glicoforina. Durante il confronto, proprio come con Ricci e Avato, ognuno è rimasto fermo sulle rispettive posizioni. In precedenza, sempre la Innamorato ha proiettato in aula un video artigianale, da lei realizzato, in cui azzarda una possibile dinamica dell’investimento costato la vita a Bergamini. Stando a questa ricostruzione, meramente ipotetica, il calciatore potrebbe essere andato giù uno o due secondi prima dell’arrivo del camion che, in frenata, lo avrebbe poi «pinzettato» con la ruota destra. Tutto ciò, a suo avviso, sarebbe «compatibile» con la versione dei fatti proposta da Isabella Internò.

Scintille e cavalleria

Per il resto, solite scintille in aula tra gli avvocati: Angelo Pugliese e Pasquale Marzocchi da una parte, Fabio Anselmo dall’altra. Decibel alti in più occasioni, ma finale comunque cavalleresco, con Pugliese che dà l’ok allo spostamento della prossima udienza (dal 30 al 23 di maggio) per non intralciare la campagna elettorale di Anselmo. Quest’ultimo, infatti, aspira a diventare sindaco della città di Ferrara. Si torna in aula, dunque, tra sedici giorni per la fase dei cosiddetti “507”, ovvero l’acquisizione di nuove prove e testimonianze. Ognuna delle parti in causa presenterà la rispettiva lista. Il processo di primo grado volge ormai alla conclusione.