mercoledì,Maggio 1 2024

Addio a Nik Spatari, l’artista che disegnò sulla luce un Universo a colori

Nik Spatari ha camminato per tutta la vita sospeso sul filo sottilissimo di chi per guardare lontano non guarda mai di sotto. Ha abitato immerso in due dimensioni, il sogno e la realtà, con vivace sfrontatezza. In un percorso artistico a caccia dell’ultimo granello di materia da cui tutto ha avuto origine, Spatari ha vissuto

Addio a Nik Spatari, l’artista che disegnò sulla luce un Universo a colori

Nik Spatari ha camminato per tutta la vita sospeso sul filo sottilissimo di chi per guardare lontano non guarda mai di sotto. Ha abitato immerso in due dimensioni, il sogno e la realtà, con vivace sfrontatezza.

In un percorso artistico a caccia dell’ultimo granello di materia da cui tutto ha avuto origine, Spatari ha vissuto un’esistenza modellata su un sentiero insolito e ricco di bellezza come di accidenti. Lascia a questa terra i suoi occhi giovani capaci di meraviglia come quelli di un bambino che corre tra i filari di grano nell’aria bianca d’estate.

La sua visione del mondo resterà impressa nel futuro, come una roccia millenaria protetta dalla natura selvatica, con le tinte del cielo d’Aspromonte a fargli da veglia sincera.

Quando un grande artista se ne va, oltrepassa il confine con un passo diverso da tutti gli altri. Intorno a lui si leva una specie di canto antico che mormora e si confonde con i fruscii del sottobosco e non parla di morte ma di vita.

Nik di morire non aveva paura tanto il suo spirito era gonfio di avvenire. Per 91 anni è riuscito a conservare un fresco cuore da bimbo, una fantasia senza recinti, la cocciutaggine perfetta della prima crescita. Il mondo non l’ha corroso, cambiato, non l’ha avvilito (anche se ci ha provato) né infreddolito. Il terreno a volte franoso della sua vita gli ha rinforzato i piedi attaccati alla montagna immensa da cui non si è voluto allontanare mai.

Da bambino il suo udito si è spento fino a staccarlo dal nostro mondo ordinario di suoni e rumori, regalandogli l’ingresso in una nuova dimensione in cui le forme danzavano nude e l’immaginazione staccava le pareti e arieggiava gli anfratti.

La sua vita è un’opera d’arte.

I viaggi a Parigi, la difficoltà ad emergere come artista, la fama improvvisa deflagrata dopo che Jean Cocteau s’infilò sotto l’impermeabile una sua opera lasciandogli un biglietto per ringraziarlo, la promessa (infranta) fatta a Picasso che lo voleva come modello per Cristo, l’amicizia con Le Corbusier, il ritorno in Italia, l’odore della polvere da sparo a Milano, l’incontro con Hiske, l’amore, la scelta di scendere a due a due i gradini del Paese per costruire in Calabria quello che Sharo Gambino definì «un progetto così ambizioso da sembrare pazzesco».

Ed ecco come nacque il Musaba, un centro d’arte internazionale.

La terza vita di Nik.

I nodi da cui si dipanano le nostre scelte alla fine si stringono sempre nei punti giusti e portano sempre dove devi andare veramente. Giovani, bellissimi, liberi, pronti a impattare con la realtà cruda della vita, tra la polvere delle macerie da ricostruire, Nik e Hiske, pietra su pietra, hanno messo su un capolavoro, ferendosi le dita, scaricando mattoni, impastando la terra. Sembrano passati mille anni da quei frammenti di immagini rimaste impresse su una pellicola: Nik con il gatto sul grembo all’ombra di una quercia, Hiske che fuma davanti all’obiettivo con lo sguardo obliquo, da guerriera, sfolgorante. Dietro di loro i mezzi archi distrutti dell’antico monastero santa Barbara su cui i barbagianni avevano eletto la loro dimora notturna.

Nik è diventato il luogo e il luogo è diventato Nik in una simbiosi perfetta che si nutrirà finché la terra continuerà a respirare.

“Il sogno di Jacob”, illuminato dal sole della mattina che fa esplodere le vetrate di colore, è la dichiarazione d’amore di Spatari a Campanella e Michelangelo, che mescola il senso religioso a una componente quasi fantascientifica e psichedelica che smuove antichi ingranaggi interni, tanto che chi visita oggi il Musaba ne esce profondamente colpito se non addirittura cambiato.

Resta il grande rimpianto del mosaico incompiuto. Il capolavoro che l’artista ha lottato per terminare. «Cinque anni almeno» aveva detto Spatari un anno fa. «Ma io ne ho già 90, non so se riuscirò a farcela». Sono mancate le forze ma anche l’interesse a supportare un artista immenso, uno dei più grandi del nostro Paese, che di notte sognava di dipingere e di giorno componeva la sua personale sinfonia dell’Universo.

I mosaici tridimensionali che ha creato contengono un segreto alchemico che supera il tessuto spaziotempo e viaggia su frequenze interiori impercettibili ad orecchie distratte.

A vederle, facendo qualche passo indietro, quelle figure escono dal piano e s’avvicinano allo sguardo del viaggiatore fino a baciargli la fronte. Lo salutano, gli dicono di ritornare perché certe storie non finiscono mai.

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