venerdì,Marzo 29 2024

C’è poco da scandalizzarsi per l’assoluzione della Corte d’Assise di Brescia

Antonio Gozzini assolto per incapacità di intendere e volere dalla Corte d'Assise di Brescia. Una sentenza che si basa sulle leggi vigenti.

C’è poco da scandalizzarsi per l’assoluzione della Corte d’Assise di Brescia

Ci risiamo. Il popolo del web, non colpevole delle manipolazioni prodotte da una cattiva informazione ma responsabile del non volersi informare adeguatamente, insorge contro una sentenza di assoluzione ed il Guardasigilli Bonafede invia gli ispettori. Questa volta è il turno della Corte d’Appello di Brescia, composta da Giudici che per lavoro fanno questo: all’esito di un Giusto Processo pronunciano sentenze che, piaccia o no ai forcaioli, non sempre sono di condanna. Nessuno si indigna o si preoccupa del fatto che un ministro invii inspiegabilmente ispezioni, ad opera di chi e con quali qualifiche e competenze non è ben chiaro, provocando pressioni sugli organi giudicanti, intaccando così l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

Ci si preoccupa di più del fatto che un ultrasettantenne, del quale si è accertato il vizio totale di mente, sia stato assolto per incapacità di intendere e di volere, senza comprendere cosa questo principio di civiltà comporti, ma soprattutto senza neanche aver letto le motivazioni che hanno spinto i giudicanti a decidere in tal senso, dal momento che esse non sono state ancora neanche scritte. A sostenere che Antonio Gozzini, il quale lo scorso anno uccise la moglie Cristina Maioli, fosse da assolvere per incapacità di intendere e volere non era d’altra parte solo la difesa, bensì proprio il consulente tecnico della Procura, nonostante la richiesta contraria del PM.

Circostanza, questa, di non poco conto e certamente complessa che però, come al solito, non impedisce a chiunque di dire la propria senza alcuna conoscenza o competenza sull’argomento e senza alcun rispetto nei confronti dei protagonisti della drammatica vicenda. E proprio per arginare questa altra forma di delirio, il Tribunale ha ritenuto di intervenire con una nota, senza che ciò fosse dovuto, al fine di spiegare la propria decisione, specificando che sono da tenersi  – testuale- : «doverosamente distinti i profili del movente di gelosia, dal delirio di gelosia, quale situazione patologica da cui consegue una radicale disconnessione dalla realtà».

Il motivo dell’assoluzione, dunque, risiede nell’accertata totale assenza nell’imputato della benché minima capacità di autodeterminarsi liberamente e coscientemente al momento del fatto; nello specifico per via un disturbo psichico che poggia su una base organica, definito da un punto di vista medico come “delirio di gelosia” e non, come in modo scorretto hanno lasciato intendere i media, per il movente della mera gelosia. E non poteva essere altrimenti, visto che le norme del nostro Codice Penale stabiliscono che gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità.

Tra l’altro i media ignorano o comunque danno volutamente poco risalto ad un altro aspetto importante: l’uomo si trova già internato in una REMS, poiché gli è stata applicata come per legge una misura di sicurezza che verosimilmente si prolungherà a vita, data la necessità di neutralizzare la sua pericolosità sociale.

Chi urla dunque allo scandalo, senza oltretutto conoscere i fatti, non solo può stare sereno ma dovrebbe tener ben presente che, qualora leggendo le motivazioni della Sentenza dovessero emergere delle violazioni di Legge, se ne occuperà eventualmente l’unico organo deputato a ciò: la Corte di Cassazione a seguito di un ricorso ad opera di chi è legittimato a proporlo.

Non è certo – questo – compito del Ministro della Giustizia e dei suoi ispettori che, al posto di dedicarsi a verificare se dei Magistrati abbiano correttamente dichiarato l’effettiva sussistenza, in sede processuale penale, del vizio totale o parziale di mente in capo ad un imputato, riscontrando l’incidenza di tali stati patologici “sulle capacità intellettive e volitive della persona”, che devono quindi estrinsecarsi affette da “una grave e permanente compromissione” – per citare delle importanti pronunce della Suprema Corte –  potrebbero mostrare la stessa scrupolosa dedizione verso i problemi reali che affronta la Giustizia Italiana ed in particolare il nostro sistema penitenziario, in questo difficile momento storico. 

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