Mafia “sociale”, a Cosenza c’è Gianfranco Sganga che risolve problemi
Diversi commercianti e artigiani della città, dopo aver subito torti o ingiustizie, preferivano rivolgersi a lui piuttosto che ai carabinieri
Non solo estorsioni e spaccio di droga. La giornata tipo di Gianfranco Sganga non era scandita in modo esclusivo dalle attività illecite, ancora presunte, che gli contesta la Dda. Tra le sue incombenze quotidiane c’era anche quella di risolvere i problemi delle persone comuni. Hai subito il furto dell’auto? Te la ritrova Gianfranco. Un cliente non vuole saperne di pagare? Ci pensa Gianfranco. I rapporti con il vicinato sono pessimi? Gianfranco fa l’arbitro. E se vanti un credito legittimo e non riesci a recuperarlo, niente paura, te lo recupera Gianfranco. Diverse persone di Cosenza e dintorni – commercianti, artigiani, imprenditori – si regolavano così: in caso di difficoltà, invece di andare dai carabinieri o davanti ai giudici, si rivolgevano a lui.
Gli investigatori ne hanno avuto contezza dopo aver intercettato per mesi il cinquantenne, già noto alle cronache e arrestato ieri nell’ambito dell’operazione antimafia “Recovery”. Spiando le sue conversazioni, hanno compreso pure le ragioni per cui pentiti come Francesco Greco gli attribuiscono quel soprannome così evocativo: Gianfranco Sganga alias “Il deputato”. La Dda lo considera un capo, il capo del rione San Vito, ma il profilo che emerge dalle captazioni è quello di un uomo d’onore alla vecchia maniera, di quelli che, almeno a Cosenza, si ritenevano ormai estinti. Non vuole incutere solo timore, cerca anche il consenso. Ed è così che l’associazione a delinquere si fa movimento sociale. E diventa ancora più insidiosa.
«Eh, se c’ero io…»
L’imprenditore che lo contatta il 3 luglio del 2023 ha subito il furto di un furgone. È la seconda volta che gli capita, in precedenza era risalito al responsabile e aveva ottenuto la restituzione del mezzo. Ora, però, ritiene che il colpevole sia sempre lo stesso, un certo Alessandro che, in un recente passato, ha lavorato anche presso di lui. In quel periodo, Sganga è ristretto ai domiciliari, lontano da San Vito, il suo regno. Ha facoltà di movimento limitate, per questo chiama Alessandro sul telefono. Lo affronta con tono quasi desolato: «Ma è possibile che ti devo mandare a dire sempre le stesse cose… e sempre gli stessi sbagli fai tu». L’altro prova a difendersi, nega di essere coinvolto nel furto, e allora l’interlocutore si spazientisce: «Vedi che se c’ero io ti avevo già spaccato la testa a due. Non ti avrei fatto nemmeno parlare. Ohi mo’ che torno… mo’ che torno… ohi merda… mo’ devi pagare i primi danni e i secondi danni. Vedi come devi fare. Se no ti faccio pagare a modo mio». A quel punto, il ladro abbassa la cresta e da parte sua è tutto un fiorire di «scusa», «scusate», «ho sbagliato», pose di sottomissione a cui Sganga replica con tono paternalista: «Ci hai lavorato, ti hanno dato da mangiare e ci vai a fare pure il furto. Ma sono belle azioni che si fanno? Mo’ provvedi agli sbagli che hai fatto. Gentilmente…».
Il cetriolo in bocca
Il titolare di una sala ricevimenti cosentina ha trascorso una serata da incubo. La luce è andata via nel bel mezzo di una festa ed è ritornata dopo almeno un’ora. Esperienza nefasta, resa tale anche dalla festeggiata che, oltre a lamentarsi per l’accaduto, si è messa pure di traverso: non vuole pagargli il dovuto. E come se non bastasse, millanta conoscenze in ambiente malavitoso. «Noi siamo con l’operazione Reset» gli ha detto per intimorirlo. La forma non è il massimo, ma il senso della minaccia è intuibile. Il 21 settembre del 2023 Sganga raccoglie lo sfogo del minacciato e gli dà appuntamento telefonico al giorno successivo. Poi, all’orario concordato, richiama il titolare della sala e, riguardo al pagamento in sospeso, gli comunica che è tutto a posto: «Domani sarà fatto». Cosa che poi in effetti avviene, con sommo disappunto della donna che, come riferirà in seguito l’imprenditore, dopo aver conciliato, se ne va furiosa, non prima, però, di avergli riversato addosso un ultimo anatema: «Vi faccio incendiare tutto. Chiamo gente di Reggio, gente di Crotone, che voi me la sucate tutti». Il deputato ascolta anche questo resoconto e, rivolgendosi all’amico, la chiude così: «Dille di mettersi un cetriolo in bocca».
Tutti muti, parla Gianfranco
Un pizzaiolo di Cosenza sta passando un brutto quarto d’ora. Come tanti, non ha pagato l’affitto del locale durante il periodo del Covid, ma ora il proprietario si è rinzelato: pretende quei soldi. Lui sarebbe pure disposto a darglieli, ma purtroppo quella richiesta onerosa è solo un pretesto per cacciarlo da lì. Il locatore vuole che sgomberi il magazzino, e dato che il pizzaiolo si oppone, per convincerlo a sloggiare si rivolge a esponenti del clan degli zingari. Quest’ultimi vanno in pizzeria e, dopo aver mangiato e bevuto, trovano un pretesto per attaccare briga. «Stai guardando la mia ragazza?» gli chiede uno di loro a brutto muso. La risposta, ovviamente, è no, ma a loro interessa poco: lo prendono a schiaffi davanti ai clienti. Il 23 settembre del 2023 il malcapitato racconta tutto a Sganga. La diplomazia si attiva con una serie di telefonate incrociate, sia in entrata che in uscita. Come sia andata a finire, gli investigatori lo apprendono da un’intercettazione successiva in cui, una persona vicina a Gianfranco, racconta che non appena è intervenuto lui, il discorso si è chiuso. «Muti, muti. Nessuno ha detto più una parola. Silenzio tombale».
Il discorso del “deputato”
L’elettricista che ha messo in funzione gli impianti di un grosso negozio di Rende è rimasto scornato. A fronte dei diecimila euro pattuiti, ne ha ottenuto solo cinquemila e cinquecento. «Ti faccio fare i lavori anche dell’altro punto vendita che apriremo su Cosenza» lo ha rassicurato l’agente con cui ha parlato. Ma alla fine era solo una scusa: niente secondo lavoro e addio pure ai soldi. L’elettricista ha provato a dolersene, è tornato alla carica, ma invece di nuove promesse ha ricevuto in cambio minacce: quel tipo gli ha detto di essere legato ai clan della Valle dell’Esaro. Il 28 settembre del 2023, il creditore espone il suo problema a Sganga che, di rimando, incarica un suo uomo di chiamare il furbetto per indurlo a consigli più miti. Quello, però, non vuole saperne e, anzi, minaccia di rivolgersi ai carabinieri. Aggiornato sul punto, il presunto boss insorge: «Ma come, prima fai il malandrino e poi dici che chiami i carabinieri?». Si passa allora al piano B: «Chiamo un amico del paese», ragiona Sganga, laddove per «paese» intende Roggiano. E così farà. In quella telefonata, che avrà un effetto risolutivo, Gianfranco non si esprime da malandrino. Parla da deputato. «Il lavoro l’ha fatto, con fattura, tutto pulito», spiega al suo amico dell’Esaro. «Il cristiano è un padre di famiglia, ha due o tre figli, quei soldi gli servono». L’elettricista li avrà, fino all’ultimo centesimo, ma prima c’è un messaggio da recapitare al cattivo pagatore. «Sprecaci giusto due parole», suggerisce Sganga al suo gancio roggianese, «quando ti metti il nome dei cristiani sulla bocca, lavati la bocca con la candeggina». Giusto due parole. Ma di quelle sentite.