venerdì,Marzo 29 2024

Pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, una violenza inaudita

Mai si è verificato un fatto così grave come quello che ha coinvolto ben 52 agenti di polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere.

Pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, una violenza inaudita

Le drammatiche condizioni di vita nelle carceri italiane sono state più volte oggetto di denuncia e di approfondimento, ma mai si è verificato un fatto così grave come quello che ha visto, nei giorni scorsi, ben cinquantadue agenti di polizia penitenziaria raggiunti da altrettante ordinanze di applicazione di misure cautelari, tra cui otto misure in carcere e diciotto domiciliari. Mi riferisco, ovviamente, ai fatti presumibilmente accaduti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere lo scorso anno, sintetizzati dal Gip che ha emesso l’ordinanza come: “una orribile mattanza”.

I reati contestati agli agenti ed al provveditore sono, infatti, gravissimi e vanno – a vario titolo – da quello di lesioni personali pluriaggravate, tortura e maltrattamenti a quelli di falso in atto pubblico, calunnia, favoreggiamento, frode processuale e depistaggio. Alcuni agenti della penitenziaria avrebbero, così, provato persino a spostare l’attenzione delle indagini su quanto si sarebbe verificato all’interno delle mura carcerarie.

Si ricorda, appunto, che le indagini sono partite dalle segnalazioni dei familiari e di alcuni legali dei detenuti coinvolti, a seguito degli eventi verificatisi il 6 aprile 2020 e successivi alle sommosse del 9 marzo e del 5 aprile dello stesso anno. In particolare, il 9 marzo un gruppo di 160 detenuti del reparto “Tevere” (diverso rispetto a quello dove poi sarebbero avvenuti i fatti oggi in contestazione) dopo l’ “ora d’aria” , si sarebbe rifiutato di rientrare in reparto, per contestare le limitazioni dei colloqui con i familiari imposte dalle misure di contenimento del contagio da Covid19.

Il 5 aprile seguiva, poi, una ulteriore levata di scudi nel reparto “Nilo”, causata dalla presenza di un detenuto risultato positivo al Covid ed attuata mediante barricate. Il moto di ribellione rientrava nella tarda serata, anche grazie all’ opera di mediazione e persuasione attuata dal personale di polizia penitenziaria e dal Magistrato di Sorveglianza. All’esito di questa seconda protesta, però, nella giornata del 6 aprile, veniva organizzata una perquisizione straordinaria generalizzata, nei confronti della quasi totalità dei detenuti ristretti nel suddetto reparto. È dunque, durante questa perquisizione che si sarebbero verificate le violenze, pianificate ed accurate, quasi come una vera e propria spedizione punitiva.

Al di là dei fatti presumibilmente accorsi, che se così fossero confermati, risulterebbero di una gravità inaudita, al tempo stesso, appare indecente per un paese civile l’ennesimo caso di indebita spettacolarizzazione degli atti di indagine che, invece di essere coperti dal segreto istruttorio, vengono dati in pasto all’opinione pubblica attraverso i media. La diffusione dei video e dei messaggi plausibilmente scambiati tra gli indagati, certamente raccapriccianti, rappresenta una azione gravemente lesiva del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza, perché riguarda atti allegati ai provvedimenti cautelari, acquisiti senza contraddittorio con le difese degli indagati e dunque effettuata al solo scopo di impressionare la collettività. E ciò è inammissibile, proprio perché niente di tutto ciò ha a che fare con il diritto di cronaca.

Ingiustificabile, anche se gli atti di brutale violenza che vengono mostrati sono agiti contro persone detenute e perciò indignano ancora di più, provenendo da chi ha il compito di vigilare sulla loro incolumità. Certamente, dunque, al di là di quello che sarà l’esito del processo, quanto viene mostrato ha il solo risultato di lasciare sgomenta l’intera comunità che fa affidamento in chi dovrebbe rappresentare lo Stato, dando esposizione mediatica alle sole ragioni degli inquirenti, calpestando in tal modo i diritti e le garanzie delle persone indagate.

Si spera, dunque, che i gravissimi fatti di violenza avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, siano accertati nelle sedi opportune con la massima rapidità, perché se quanto contestato dovesse essere verificato, sarebbe una inaccettabile violazione del diritto delle persone detenute ad un trattamento rispettoso della loro persona, della loro integrità fisica e della loro dignità, oltre che del dovere delle istituzioni di garantire la sicurezza delle persone loro affidate a fini rieducativi, nella prospettiva di un reinserimento in una società che si vanta di essere civile ma che tale non sembra più affatto da tempo.

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