Liceo Telesio, il racconto della protesta da dentro l’occupazione – VIDEO E FOTO
Video e foto da dentro l'occupazione del plesso delle Canossiane del Liceo Classico Telesio. Gi studenti protestano per i piani evacuazione. Ma non solo
Chiedono se siamo la Digos o i Carabinieri. «Sono una giornalista». «Ah, va bene. Entra pure. Ti spieghiamo tutto». Il nostro report fotografico e video dell’occupazione di questa mattina del plesso delle Canossiane del Liceo Classico inizia così.
Parlano gli studenti: «Cosa vogliamo»
«Di là, ma stai attenta che si scivola». Ore nove e quaranta, freddo e una pioggia indecisa che è acquerugiola dissolta da brevi incursione di sole. Anfibi gonfi di fango e appuntamenti da prendere via chat per comprare panini e qualcos’altro. Le scale si trascinano a fatica verso la cancellata di quello che una volta era un convento e portano a un cancello aperto. I ragazzi non hanno zaini in spalla, si raggrumano in gruppi piccoli a discutere con lo smartphone in mano e le gallerie piene di scatti della mattina.
«Ci fai una foto?». Tre ragazze si stringono, gli sorridono gli occhi dietro le mascherine. È giorno di occupazione al Liceo classico Telesio. La protesta dell’Industriale ha dato la stura alla matassa di malcontento mescolata alla voglia di fare qualcosa di diverso. I tumulti classici che animano le pance ad ogni autunno, hanno trovato tante case accudenti: l’emergenza Covid, il disagio per una scuola divisa a metà, il terremoto di ieri, il passaparola, frammenti di discussioni ricomposte nel lessico adolescenziale semplice e incerto. Quando gli argomenti devono diventare un filo lungo e completo diventano un groviglio in cui è difficile trovare un capo e una soluzione. «Vogliamo ricongiungerci ai nostri compagni – spiega un ragazzo -. Da venti giorni ci hanno spostato qui, c’è un solo bagno per 350 alunni». Indica le recinzioni del cantiere.
Sulla balconata chiedono ancora tempo per lo striscione. Si agitano bombolette, qualcuno urla: «Le mascherine! Tiratele su, è una protesta per il Covid non dobbiamo farci vedere senza». Rieccolo il groviglio. Nel calderone dell’occupazione c’è di tutto: la rabbia per una scuola che non piace, la voglia di unirsi a un coro dissonante, di urlare contro il governo, lo Stato, la pandemia. «Siamo pacifici, continueremo finché non ci ascolteranno. Non abbiamo fatto danni, vogliamo soltanto che il preside ci comprenda». Ma per parlare davanti alla camera ci si tira indietro. Un ragazzo alto fa segno no con la mano. Vuole spiegare tutto e bene ma senza farsi vedere.
Applausi dal cortiletto, qualcuno in una busta verde ha portato una consolle di giochi. «No no – protesta uno che ha l’aria di essere delle ultime classi – dobbiamo fare assemblea». Finalmente lo striscione è pronto, scende giù una, due volte, parte il coro dell’occupazione. Gli sguardi lucidi, smarriti e eccitati. Quegli sguardi che sono sempre gli stessi, sotto tagli di capelli che negli anni, decenni, cambiano solo sfumatura.