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Paola, 18 anni fa l’omicidio di Antonio Maiorano. Ora le nuove indagini: ecco i particolari

Dalle sentenze "Ghost" e "Tela del ragno" emergerebbero i ruoli avuti da Romolo Cascardo, Pietro Lofaro e Alessandro Pagano, nel delitto dell'operaio paolano, trucidato davanti allo stadio comunale

Paola, 18 anni fa l’omicidio di Antonio Maiorano. Ora le nuove indagini: ecco i particolari

Una mattina di 18 anni fa la ‘ndrangheta cosentina ammazzava l’operaio, residente a Paola, Antonio Maiorano. Fu un errore. Quel giorno infatti doveva morire l’attuale collaboratore di giustizia Giuliano Serpa, facente parte della cosca “Serpa-Bruni”. A decidere quel delitto di stampo mafioso fu il clan “Scofano-Martello-Ditto“, come avvalorato dalle tesi accusatorie sostenute ultimamente dalla Dda di Catanzaro che per l’assassinio Maiorano e per quello di Luciano Martello, ha chiesto e ottenuto recentemente quattro arresti. In carcere infatti sono finiti Luigi Berlingieri, alias “Faccia di Ghiaccio“, accusato quale partecipe dell’omicidio Martello, e Romolo Cascardo, Pietro Lofaro e Alessandro Pagano, raggiunti da un’ordinanza cautelare per la morte di Maiorano.

Delitti di mafia sul Tirreno cosentino, rivalorizzati vecchi atti d’indagine

Le indagini della Dda di Catanzaro, coordinata attualmente dal procuratore capo Nicola Gratteri, si fondano sostanzialmente sulle attività investigative condotte fino al 2009 dal magistrato Mario Spagnuolo, all’epoca procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, oggi capo della procura di Cosenza, e dal 2012 in poi dal giudice Eugenio Facciolla, ex procuratore capo di Castrovillari, trasferito nel 2019 a Potenza dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Come ha fatto il giudice per le indagini preliminari di Catanzaro, Antonella De Simone, ad applicare la misura inframuraria per i tre indagati dell’omicidio di Antonio Maiorano? Tra gli elementi di prova raccolti dai carabinieri e dalla Dia ci sono i verbali di interrogatorio di Giuliano Serpa del 16 luglio 2007, i verbali di udienza contenenti le deposizioni di Adamo Bruno, Maurizio Giordano e Michele Bloise, rese nel processo Ghost, nonché gli atti del dibattimento celebratosi dinanzi alla Corte d’Assise di Cosenza, integralmente versati nel procedimento Tela del Ragno.

Omicidio Antonio Maiorano, la posizione di Romolo Cascardo

Il settantenne Romolo Cascardo, di professione calzolaio, si legge nelle carte dell’inchiesta, avrebbe fornito al gruppo omicidiario «stabile supporto logistico sin dall’inizio della progettazione dell’attentato». Nel processo “Ghost”, infatti, emerse come Cascardo «procurò le armi e contribuì alla corresponsione del prezzo dell’omicidio ai sicari».

Nelle motivazioni della sentenza vengono descritti i passaggi fondamentali. «Nel pomeriggio, peraltro, non avendo recuperato una delle pistole, Bruno e Vicchio avevano deciso di andare a casa di Francesco Martello, figlio di Luciano Martello, conosciuto nei giorni precedenti in quanto incaricato di portare loro dei viveri. Giunti presso l’abitazione di Francesco Martello, avevano incontrato quest’ultimo e Alessandro Pagano, i quali li avevano informati che vi era stato un errore di persona ed era stato ucciso un uomo che non aveva nulla a che fare con la faida tra i Martello e i Serpa». Faida iniziata con l’eliminazione di Pietro Serpa, fratello del boss Nella Serpa, e di Luciano Martello, ucciso nel 2003, dal clan “Serpa” con la fattiva collaborazione della cosca “Bruni” bella bella di Cosenza, guidata all’epoca da Michele Bruni.

«Quindi i due killers – si legge nell’ordinanza – lasciata nuovamente l’arma dove era stata nascosta dopo l’omicidio, avevano fatto rientro a Firmo. Dopo qualche giorno, Bruno era stato contattato da Mario Martello e, recatosi insieme a Vicchio, a Paola, aveva ricevuto da tale Romoletto, presentato loro da Antonello, la somma di 5mila euro che avevano diviso in parti uguali». L’altro denaro sarebbe stato consegnato in un altro incontro avvenuto dopo circa una settimana, dove Bruno e Vicchio avrebbero ricevuto altre 5mila euro, «restando d’accordo che, per eseguire gli altri agguati, avrebbero aspettato che si fossero “calmate le acque”».

Il pentito Adamo Bruno, tuttavia, aveva riferito che «la bottega di calzolaio di tale Romoletto (Romolo Cascardo) era stata, anche, una base logistica, durante gli agguati, utilizzata per cambiarsi i vestiti e per nascondere le armi», riconoscendo, ancora, le fotografie di «Mario Martello, Alessandro Pagano, Stefano Mannarino, Giuseppe Lo Piano, Antonello La Rosa, Pietro Lofaro e Romolo Cascardo». L’altro agguato, come illustrato nel corso del processo in Corte d’Assise di Cosenza, doveva essere compiuto nei confronti di Nella Serpa che, sulla base delle dichiarazioni di Adamo Bruno, era nel mirino del clan e «si sarebbe deciso», durante un altro summit mafioso, «in quel momento se colpirla al “Jamaica Beach”». Un altro attentato, poi non andato in porto, era quello contro Livio Serpa.

In definitiva, il ruolo di Romolo Cascardo «è tratteggiato da Bruno Adamo, che lo identifica come colui che pagò il prezzo del delitto, unitamente a Antonello La Rosa; Romoletto era presente alle riunioni alla masseria, in cui si progettava l’omicidio di Giuliano Serpa, sul ruolo specificatamente svolto da Cascardo «deve riconoscersi che l’aver offerto assistenza logistica agli esecutori materiali dell’azione di fuoco, non solo in occasione dell’uccisione di Maiorano, quanto anche nel successivo tentativo di eliminare Serpa e l’aver materialmente consegnato ai killer i soldi pattuiti quale corrispettivo per l’esecuzione dell’omicidio, costituiscono indubbiamente elementi altamente rappresentativi della sua adesione al sodalizio e del fatto che Cascardo fosse uomo di fiducia su cui i sodali potevano contare; il collaboratore Bloise, nel tratteggiare la figura di Alessandro Pagano, ribadisce – in qualche modo come un dato “ovvio” – che Cascardo contribuì all’omicidio fornendo le armi, che, nel caso specifico, fu ritirata da Pagano».

Omicidio Antonio Maiorano, il ruolo avuto da Pietro Lofaro

Nella sentenza in abbreviato di “Tela del ragno”, il gup di Catanzaro aveva osservato come gli attuali tre indagati avessero preso parte «sin dall’inizio alla pianificazione dell’omicidio di Giuliano Serpa, colloquiando con il detenuto Gennaro Ditto dall’esterno e attuando il programma dell’allora reggente della cosca “Scofano-Martello”. I fatti sono riferiti dal collaboratore di giustizia Michele Bloise nel 2012».

Omicidio Antonio Maiorano, per la Dda Pagano era lo “staffettista”

E veniamo infine ad Alessandro Pagano, coinvolto sin da subito nelle indagini preliminari, ma accusato poi dal pentito Bruno Adamo «come “staffettista” del commando armato, e in definitiva, come colui che indurrà in errore gli esecutori, scambiando il povero Maiorano per il reale obiettivo dell’azione di fuoco». Insomma, a trarre in errore i killer di Firmo sarebbe stato proprio Pagano, il quale, dopo aver comunicato che Giuliano Serpa quel giorno non era transitato lungo il tragitto che avevano individuato per ammazzarlo, si sarebbe recato nuovamente da Bruno e Vicchio informandoli «che la vittima si trovava seduto su una seduta davanti all’entrata dello stadio di Paola, precisando loro che portava gli occhiali da sole, aveva i capelli brizzolati e stava leggendo il giornale, cosicché concordavano di dare esecuzione all’omicidio». Ma fu un errore.

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