mercoledì,Maggio 15 2024

Mai dire «droga», il dizionario dei sinonimi in uso a Paola e San Lucido

Il linguaggio criptico con cui pusher e clienti tentavano di eludere le intercettazioni, scene di ordinario narcotraffico dalla recente inchiesta antimafia

Mai dire «droga», il dizionario dei sinonimi in uso a Paola e San Lucido

Agnelli, fotocopie, sigarette, due panini, cinque magliette. Passano gli anni, ma il telefono continua a essere il nemico pubblico numero uno per gli spacciatori e i loro clienti. Impiegano quel dispositivo per concordare appuntamenti e procedere agli acquisti di caramelle, caricabatterie, cosce o birre grosse. I tossicodipendenti utilizzano un glossario decisamente ampio, ma che dietro quei termini in apparenza leciti e innocui si celi quasi sempre la droga, non ci sono dubbi. Dacché mondo è mondo, i tentativi di dissimulare, di chiamarla in un altro modo per non destare sospetti, cadono puntualmente nel vuoto. Sotto i colpi delle intercettazioni. La recente inchiesta antimafia che ha toccato i centri di Paola e San Lucido non fa eccezione alla regola.

Il metodo albanese

Cinque chili di salame, una camicia da settanta euro, un bel caffè, profumo, mattonelle. La fantasia non manca e, a volerne trovare uno, il sinonimo più utilizzato è vino, anche perché consente l’utilizzo di più varianti: bianco o rosso, in bottiglia piccola o grande, nel bicchiere pieno o anche solo a metà. Che poi sia vino buono o no, è un altro discorso. La partita di marijuana che il 21 dicembre 2019 maneggia uno degli indagati «puzza di muffa». Il suo collega la paragona «all’insalata», tant’è che per risolvere il problema decidono di correggerla. Con l’ammoniaca, all’uso albanese, «uno che la sa fare, ci prendi di più e non puzza più di muffa», ma quel giorno ci spruzzano di sopra l’acetone. «Così viene forte e non se ne accorgono».

La bianchina

Biglietti delle giostre, mezza bustina di zucchero, un casco grosso, una pizza ai quattro formaggi, un sacchetto di cemento. Anche la cocaina presenta dei problemi. Uno degli assuntori se ne duole a cuore aperto con il pusher: «Ti parlo proprio sincero, questa non si sente proprio. L’ha tagliata di malamorte. Sembra compensato, un dolore di testa a non finire». Un altro è colpito dal cattivo odore che emana la dose appena acquistata: «Si frantumava come sabbia, mi sono spaventato. Non sapevo cos’era e mi sono spaventato». Alcuni la chiamano affettuosamente «la bianchina». E vogliono soltanto quella. No erba, no fumo. In quel caso, «l’acqua del mare è fredda, il bagno non se lo fa nessuno» è la formula utilizzata dal pusher per dire che, nel menu del giorno, la bianchina non è contemplata.

L’erba calabrese di una volta

Tappeto, impastatrice, corda di salsiccia, tre moschettieri, la cristalliera. Capita pure che la roba sia buona, anzi buonissima. La coca che gira a Paola il 29 novembre 2019 è di qualità, come dimostra la descrizione di una sniffata captata dagli investigatori: «Mamma mia com’è forte, il muso tanto mi sentivo. Sembrava che non avevo più i denti». Allo spacciatore che l’11 aprile del 2020 vuole acquistare cinque chili d’erba, invece, il fornitore presenta così la propria merce: «Te la ricordi la calabrese di una volta? Più o meno come quella. Però è bella, odora». L’acquirente è incerto sul da farsi. Il punto è se quell’erba sballa o no, «perché se poi non sballa non la prendono». Chiaro e lineare, ma la risposta che riceve non è di quelle risolutive: «Non è che non sballa. Sballa, ma non ti dà una palata nella testa. È come quella di una volta…».

Il lancio della pezzata

Scodellina, pallone, colla, Mesulid, formaggio. Si illudono che il linguaggio criptico li metta al riparo dalle intercettazioni, ma non rischiano solo di trovare un carabiniere in ascolto. Rischiano di ritrovarselo davanti, che è peggio. Un incubo che il 12 febbraio del 2019 si materializza davanti agli occhi del gruppo di paolani di ritorno da Gioia Tauro. Sono andati lì a rifornirsi di cocaina e viaggiano con a bordo una pezzata del valore di tredicimila euro. All’altezza di Campora San Giovanni avvistano sirene in agguato e, senza pensarci due volte, lanciano il prezioso pacco dal finestrino. Purtroppo per loro finirà in una scarpata e, nei giorni successivi, cercheranno di recuperarlo in tutti i modi possibili. Andranno lì con un decespugliatore, facendo tabula rasa di rovi e spine, ma senza esito.   

Le spaventose signorine

Taglio di capelli, faro, spezzatino, codice fiscale, motopico. Finanche il motopico. A proposito di forze dell’ordine: tra posti di blocco, perquisizioni e presenza costante sul territorio hanno complicato di molto la vita a chi si prodigava in affari illeciti in quel segmento di costa tirrenica cosentina. «Hai visto quanti cani liberi?» chiede preoccupato uno spacciatore al suo amico il 12 maggio del 2020. Stanno facendo un giro in auto, ma ovunque vadano, sul loro tragitto c’è sempre qualche divisa in cui inciampare. Li definiscono «cani», ma a volte si esprimono in termini più graziosi. Il 26 giugno dello stesso anno, il cliente in attesa del suo uomo all’angolo di una strada di San Lucido, contatta il pusher in preda all’agitazione: «Qui ci sono le signorine, mi capisci? In piazza non posso fare niente perché ci sono le signorine, se mi hai capito».

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