Tinto, Graziadio e Trecroci: «A Cosenza nessun confronto leale nel Pd. Ci determineremo»
I tre consiglieri democrat: «Volevamo candidarci alla Provincia, la verità che si è deciso senza confronto intorno ai soliti caminetti. Se così fosse, agiremmo di conseguenza»
Il Partito Democratico non annoia mai, dà sempre spunti per raccontare come al suo interno esista una diversità di vedute tale da far ipotizzare più Pd all’interno di uno solo. Di sicuro, a prova di smentita, è quanto avviene a Cosenza. Il caso emblematico della Federazione, dove il segretario (autosospeso) Vittorio Pecoraro ha trovato sponda a Roma per il rinvio della direzione inizialmente prevista per domani dove sarebbe potuto finire ko, è solo la punta dell’iceberg.
Il malcontento verso i vertici del partito e verso le correnti che ormai da anni ne decidono ogni cosa a tavolino serpeggia sui territori e nei consigli comunali. Quello di Cosenza, il più importante della Provincia, non fa eccezione e tre consiglieri democrat vivono il loro rapporto con il capogruppo, prossimo a diventare assessore, Francesco Alimena, come se fossero sulle montagne russe.
Oggi Gianfranco Tinto, Francesco Graziadio e Aldo Trecroci sono usciti definitivamente allo scoperto con un documento duro, che fotografa l’amarezza di chi con le correnti e i cacicchi (Schlein docet, ndr) non ha niente a che fare. «Noi avremmo voluto proporre la nostra candidatura alla Provincia e sottoporla alla valutazione dei colleghi in consiglio comunale – dicono – ma ci è stato risposto che a decidere la composizione della lista non era il gruppo del Pd di Palazzo dei Bruzi e che, nel caso, se ne sarebbe dovuto parlare con il resto della maggioranza, oppure con la segreteria cittadina, oppure con il segretario provinciale. Solo che il segretario provinciale si è autosospeso, la segreteria cittadina è “non pervenuta” come al solito e l’amministrazione comunale non ha nulla a che fare con le elezioni Provinciali, che sono un appuntamento politico».
«E quindi è da un mese che siamo sospesi in una specie di limbo – aggiungono – con le nostre richieste di confronto che rimbalzano contro uno spesso muro di “non so”, “poi vediamo”, “ne dobbiamo parlare prima con quello”, “ne dobbiamo parlare prima con quell’altro” e così via rimandando. Peccato che alla presentazione delle liste manchino ormai solo quattro giorni. Sappiamo bene che quando si pospone una decisione agli ultimi trenta minuti utili, quando non si trova il tempo e lo spazio per discutere, non è perché non si sa quali decisioni vadano prese o a chi tocchi prenderle; al contrario, l’esperienza ci insegna che questa apparente indeterminatezza, questa grande confusione sotto il cielo del Pd nasconde una amara verità: le decisioni sono già state prese e i nomi sono stati già individuati».
Tinto, Graziadio e Trecroci spiegano ancora che «non è però dato sapere da chi, non è dato sapere dove, non è dato sapere con quali criteri. Di certo non nelle sedi opportune. Non c’è stato un confronto franco e leale all’interno del partito, perché la base non è stata convocata e chi, come noi, ha provato a sollecitare il confronto è stato sistematicamente ignorato. Se poi i nomi dovessero essere quelli fatti filtrare sapientemente sulla stampa in queste ultime settimane – Mimmo Frammartino, Giuseppe Ciacco, Raffaele Fuorivia, nostri compagni di viaggio in questa esperienza amministrativa – ci riteniamo liberi di determinarci secondo coscienza».
«Nulla di personale nei confronti dei nostri colleghi, né questioni di ripicca o delusione per non essere stati ammessi ai caminetti per pochi intimi dove si decidono le sorti del partito, ma per puro principio. A questi caminetti – evidenziano – non saremmo nemmeno andati, perché il nostro modo di intendere la politica è diverso: crediamo nella partecipazione, nella condivisione, nel confronto. E crediamo che il gruppo più rappresentativo all’interno dell’amministrazione della città capoluogo avrebbe avuto il diritto e soprattutto i numeri per eleggere un suo rappresentante nell’assise provinciale».
La chiosa finale nasconde tutto il loro malcontento. «Chi ha deciso che così non doveva essere? Dove? Quando? Perché? Queste domande potranno sembrare ingenue, ma se il Partito democratico cosentino si trova oggi ad essere forza politica minoritaria e residuale, forse è proprio perché, rifiutando di rispondere a queste domande, dimostra di essere “democratico” ormai solo nel nome».