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La Cassazione e l’inchiesta sulla massoneria: «Legittimo criticare l’operato dei magistrati»

Ricordate l’inchiesta sulla massoneria dell’ex procuratore capo di Palmi Agostino Cordova? Ebbene, pochi giorni fa la Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni con le quali ha annullato con rinvio a un nuovo esame il processo sulla presunta diffamazione a mezzo stampa aggravata commessa dall’avvocato Antonio Perfetti di Cosenza, massone del Goi.  Le motivazioni della

La Cassazione e l’inchiesta sulla massoneria: «Legittimo criticare l’operato dei magistrati»

Ricordate l’inchiesta sulla massoneria dell’ex procuratore capo di Palmi Agostino Cordova? Ebbene, pochi giorni fa la Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni con le quali ha annullato con rinvio a un nuovo esame il processo sulla presunta diffamazione a mezzo stampa aggravata commessa dall’avvocato Antonio Perfetti di Cosenza, massone del Goi. 

Le motivazioni della quinta sezione penale, presieduta dal presidente Stefano Pallo, sono molto interessanti da leggere perché danno la possibilità di far comprendere che il diritto di critica giudiziaria deve essere garantito sempre, purché non sfoci in diffamazione.

Su questo punto gli ermellini hanno esaminato quanto giudicato in precedenza dal tribunale di Cosenza e dalla Corte d’Appello di Catanzaro, evidenziando che le parole rilasciate al Quotidiano della Calabria dal massone Perfetti non erano un’offesa personale nei confronti di Cordova. «Con riguardo al requisito della continenza espressiva e della correttezza del linguaggio, si ammette che la critica assuma anche toni forti ed aspri, ma l’offesa che trascende in attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale la sfera morale del soggetto criticato e non le sue azioni od opinioni, viene considerata – come ricordato anche dalla sentenza impugnata – incompatibile con il legittimo esercizio del diritto» scrive la quinta sezione penale.

Entrando nel merito della questione, ovvero dello scontro verbale tra Perfetti e Cordova, la Cassazione aggiunge: «La Corte territoriale non ha fatto buon governo nella misura in cui ha ritenuto in maniera apodittica costituire gratuita aggressione ad hominem le valutazioni effettuate dall’imputato nel corso dell’intervista rilasciata a “Il Quotidiano della Calabria” sulla conduzione delle indagini relative alla c.d. “massoneria deviata” da parte del dott. Cordova negli anni novanta del secolo scorso nella sua qualità di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi».

E ancora: «Non è in discussione l’asprezza del contenuto dei giudizi espressi, bensì il fatto che questi, attraverso la critica sulla infondatezza e inutilità della suddetta indagine, debbano automaticamente tradursi in un ingiustificato attacco personale, mettendo gratuitamente in discussione la buona fede e la professionalità del magistrato inquirente. Un tale automatismo, che sostanzialmente è presupposto dai giudici territoriali, si risolve infatti nella stessa negazione del diritto di critica giudiziaria, cui deve invece riconoscersi ampia latitudine, posto che in democrazia, a maggiori poteri (quali sono quelli riconosciuti al magistrato), corrispondono maggiori responsabilità e l’assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche e proprio attraverso il diritto di critica».

Per la Cassazione Perfetti quando dichiarò che «”è entrato nelle case senza alcun permesso” e “ha perseguitato”» si riferisce a un aspetto sostanziale della vicenda che non ha avuto alcun esito come certificò la procura di Roma con un decreto di archiviazione. «Esito che è un fatto incontestabile e che, se proporzionato alla portata dell’indagine di cui si tratta ed al clamore destato all’epoca, costituisce una valida piattaforma per l’impianto del legittimo esercizio della critica, tanto più se proveniente da un soggetto che gli effetti della stessa ha dovuto subire e che dunque si ritiene – a torto o a ragione, questo è irrilevante – ingiustamente danneggiato dal proprio coinvolgimento nella medesima o da quello dell’associazione che rappresenta o rappresentava al tempo», conclude la sentenza della Cassazione. (Antonio Alizzi)

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