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Covid, a Cosenza ricoverati in prevalenza no Vax e con variante Delta

In Terapia Intensiva ancora pazienti scoperti anche da booster. Ecco come il virus ha cambiato faccia in un anno

Covid, a Cosenza ricoverati in prevalenza no Vax e con variante Delta

Gli scienziati mantengono un cauto ottimismo. Dai dati che circolano, non appena si è avuta notizia della nuova Voc (Variant of Concern, cioè variante di rilievo) che porta il nome della lettera mediana dell’alfabeto greco, la Omicron, ormai sono evidenti due fatti. Il primo: si diffonde rapidamente; la seconda: potrebbe essere meno aggressiva in quanto sembra (mantenersi prudenti è d’obbligo) che il virus, in questa veste, prediligerebbe più le vie respiratorie alte (gola, naso) che i polmoni (in cui Alpha e Delta invece si annidano più facilmente creando le pericolose polmoniti interstiziali).

La situazione dei ricoverati a Cosenza

Se nel macro ci pensa l’Iss a tracciare ogni 14 giorni un quadro complessivo della diffusione delle varianti sul territorio italiano e per regioni (dall’ultimo rilievo la Calabria è al 73% di diffusione di Omicron mentre la provincia di Cosenza è ferma al 50% pur se si attendono gli ultimi dati del flash survey da un momento all’altro), nel micro facciamo riferimento alla situazione locale attingendo dalle notizie fornite da Asp.

«Un dato interessante credo che sia quello relativo ai ricoveri – spiega Amalia De Luca, responsabile Epidemiologia dell’Asp bruzia -. Dalle informazioni che ci arrivano la maggior parte dei ricoverati a Cosenza sono portatori della variante Delta mentre Omicron è decisamente minoritaria. Questo potrebbe avallare la teoria che parla di una minore pericolosità della ultima variante ma non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia, sappiamo troppo poco».

Ancora allarme novax per la Terapia Intensiva

Degli otto ricoverati in Terapia intensiva a Cosenza sono sei i pazienti non vaccinati, mentre due sono vaccinati ma con due dosi. «Con riguardo ai vaccinati bisogna capire da quanto tempo i pazienti hanno completato la seconda dose, ricordiamo che il booster è fondamentale per mantenere una risposta immunitaria adeguata. Va poi valutato se si tratta di pazienti che hanno anche altre patologie concomitanti ma di certo il quadro generale parla di un rischio altissimo per chi non ha nemmeno una dose. È chiaro che il vaccino funziona benissimo e che è importante continuare sulla strada delle somministrazioni anche per l’età pediatrica».

Le varianti Voc conosciute fino ad ora

Alpha

La prima venne chiamata Alpha e venne ribattezzata “variante inglese” perché individuata proprio nel Regno Unito nel novembre del 2020. Attirò subito l’attenzione degli scienziati perché rispetto al virus di Wuhan risultò da subito molto più infettivo, cioè veloce nel contagiare le persone. Il livello di pericolosità rimase simile a quello del virus d’origine: entrambi si legavano al recettore Ace-2 umano penetrando, in alcuni casi, nei polmoni e scatenando una reazione immunitaria violenta.

Beta

È nota anche come “variante sudafricana” dal nome Paese in cui venne rilevata per la prima volta nell’ottobre 2020. In Europa arrivò il primo caso a dicembre del 2020. Il meccanismo e la pericolosità sono rimaste invariate mentre è stata riscontrata una più ampia velocità di trasmissione.

Gamma

La variante Gamma, detta anche brasiliana, attirò subito l’attenzione del mondo scientifico perché comportava una ancora maggiore trasmissibilità accompagnata da recidive. Il fenomeno di diffusione in Italia fu abbastanza contenuto.

Delta

La variante indiana fece la sua apparizione per la prima volta a Maharashtra, in India, diffondendosi in tutto il mondo con una straordinaria rapidità. Questo, unito alla sua aggressività, ha creato una impennata di morti e contagi nella popolazione mondiale che è riuscito a resistere grazie alle vaccinazioni. Nel corso dei mesi alla lettera Delta è stato aggiunto un plus per indicare una sottovariante ancora più diffusiva.

Omicron

Nonostante le numerose mutazioni della proteina Spike sulla sua superficie molti studi stanno attestando come sia di gran lunga meno aggressiva e a basso rischio letalità rispetto alle sue ”parenti”. I tempi di contagio sono più ristretti rispetto alle altre varianti: mentre per la Delta, ad esempio, occorrevano anche 5 giorni prima del manifestarsi del contagio, la Omicron potrebbe apparire evidente già dopo 2 giorni dal contatto positivo.

L’Iss tuttavia frena sull’eccesso di ottimismo. «I dati sulla gravità clinica dei pazienti infettati con Omicron sono ancora preliminari e il rischio di ricovero è solo uno degli aspetti della gravità della malattia. Servono maggiori dati da diversi Paesi per capire come gli altri indicatori, come l’uso di ossigeno o ventilazione meccanica o la mortalità, sono associati a questa variante nei casi severi. Al momento non è ancora chiaro fino a che punto la riduzione osservata del rischio di ricovero possa essere attribuita all’immunità da infezioni precedenti o vaccini o quanto Omicron possa essere meno virulenta».

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