Arresti a Cosenza, il tentato omicidio durante la celebrazione di un funerale: così agiva il “Sistema della droga”
Il pentito Silvio Gioia racconta cosa successe nel gennaio del 2013 ai danni di Meduri, accusato dagli "zingari" di prendere la droga in provincia di Reggio Calabria
Il cosiddetto “Sistema”, quello che governava il traffico di droga nell’area urbana di Cosenza, non guardava in faccia nessuno, tantomeno si poneva il problema di agire durante una celebrazione funebre. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta, nei capi 75 e 76, relativamente al tentato omicidio di Pietrangelo Meduri, che la Dda di Catanzaro contesta a Luigi Abbruzzese, Nicola Abbruzzese e Antonio Abbruzzese (classe 1984).
Il fatto delittuoso è stato raccontato dal collaboratore di giustizia, Silvio Gioia. I colpi di pistola sono stati esplosi nel gennaio del 2013 mentre era in corso il funerale «del papà di Claudio Castiglia tenutosi al secondo lotto di via Popilia», e «mentre si muoveva il corteo funebre ho notato», dice Silvio Gioia, “Luigi e Nicola Abbruzzese figli di “Banana” ed il loro cognato Antonio Abruzzese figlio di Giovanni, che discutevano animatamente con Pierino Meduri. Dopo qualche minuto» racconta il pentito «ho avvertito delle esplosioni di colpi d’arma da fuoco e subito dopo ho visto allontanarsi i tre Abbruzzese citati a bordo di una Fiat Punto abart di colore nero con inserite nella targa le sigle Cz».
Gioia dirà ai magistrati della Dda di Catanzaro che a sparare sarebbe stato in realtà «Nicola Abbruzzese», ma da Meduri avrebbe appreso il motivo del ferimento, in quanto la vittima «si approvvigionava dell’eroina dai suoi cugini abitanti ad Africo Nuovo», contravvenendo quindi al regime di monopolio imposto per lo spaccio di stupefacenti a Cosenza.
Nelle valutazioni, il gip Alfredo Ferraro, dando per buono l’ulteriore riscontro dato da Anna Palmieri che individuava il movente nel «sottobanco» fatto da Meduri agli “zingari”, ha ritenuto credibili le parole di Gioia, sulla base anche delle indagini, che hanno accertato come l’auto fosse intestata proprio ad Antonio Abruzzese. Dunque, per il giudice cautelare sussistono i gravi indizi di colpevolezza.
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