venerdì,Marzo 29 2024

IL REPORTAGE | Mormanno dieci anni dopo il terremoto: chi è andato, chi è rimasto e chi ancora aspetta di tornare a casa | VIDEO

Viaggio nel paese del Pollino colpito dal sisma che rese inagibili molte abitazioni: alcune sono tornate ai loro proprietari solo da poco, per altre i lavori procedono a rilento e c’è chi intanto paga un affitto

IL REPORTAGE | Mormanno dieci anni dopo il terremoto: chi è andato, chi è rimasto e chi ancora aspetta di tornare a casa | VIDEO

Ci sono i motociclisti in piazza, la gente seduta ai tavolini del bar e un gruppo di anziani che chiacchiera su una panchina. Quando le campane della chiesa di Santa Maria del Colle avvertono che è mezzogiorno, la gente è in strada: si incontra, si saluta, si stringe le mani. Mormanno non è morta quella notte di dieci anni fa, quando una scossa di magnitudo 5 ha gettato per strada un intero paese. Un paese spaventato, in fuga, in cerca di sicurezza ma vivo. E vivo è rimasto in questi dieci lunghi anni, tra mille difficoltà e problemi ancora oggi irrisolti, aggrappato ai suoi oltre 800 metri di altitudine e ai luoghi del cuore che tanti, nonostante tutto, non si sono sentiti di abbandonare. La chiesa, la piazza e quel faro votivo che guarda tutti dall’alto. È dedicato ai caduti della Prima Guerra Mondiale.

Di caduti invece, quella notte del 26 ottobre 2012, non ce ne furono. E tanto basta, ai mormannesi, per definirsi fortunati. Anche se hanno perso la loro casa, i loro ricordi, la normalità che per tanti è ancora lontana. Né morti né feriti né crolli, ma una ricostruzione comunque da fare. Perché il terremoto ha reso inagibili molte abitazioni. E non solo le abitazioni. C’è chi ha perso la propria attività: bar, ristoranti, negozi. E tra questi c’è chi l’ha poi rimessa in piedi quell’attività, con tanto di sacrifici che però hanno dato i loro frutti. Lo “Snack bar”, sulla via tra il municipio e la chiesa, oggi è di nuovo produttivo: sforna i tradizionali “bocconotti”, accoglie chi viene per un caffè al volo o chi vuole trattenersi ai tavolini. Crea vita. Offrendo un punto di ristoro a chi qui ci vive e a chi arriva da fuori, ma anche creando lavoro per chi a Mormanno vuole restare.

«Una ferita aperta»

Paolo Pappaterra è il giovane sindaco di questo paese, eletto a giugno scorso ma nient’affatto impreparato alla realtà che si è trovato a gestire, anche in virtù di precedenti esperienze amministrative. Di questi dieci anni parla come di «una ferita aperta nella nostra comunità, una ferita che sentiamo nel cuore e nell’anima». Una ferita che, però, in una parte della popolazione ha generato un attaccamento ancora maggiore alla propria terra e una volontà di riscattarla dalla sventura capitata quella notte. Qualcuno è andato, non se l’è sentita di restare in un posto che non gli dava più sicurezza. Tanti, però, sono rimasti.

«Quel 26 ottobre ha segnato uno spartiacque proprio per questo motivo – dice il sindaco –. Abbiamo perso dei nostri concittadini, però per fortuna c’è stato anche chi ha scelto di credere ancora in questo paese».

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Dallo Stato 11 milioni di euro per la messa in sicurezza

È rimasto Giuseppe Armentano, per esempio, che solo adesso, a distanza di dieci anni da quell’addio forzato alla propria casa, sta riuscendo a rimetterci piede. I lavori volgono finalmente al termine, i mobili li stanno consegnando e la normalità è vicina. Mostra con orgoglio la camera con il letto nuovo appena arrivato. «Abbiamo dovuto metterci anche i nostri risparmi – dice – ma alla fine siamo contenti».

Per mettere in sicurezza gli edifici, nelle casse comunali sono arrivati più di 11 milioni di euro. Soldi destinati agli interventi strutturali nelle abitazioni rese inagibili dal sisma, fondi pubblici ai quali i proprietari hanno aggiunto del proprio per ridefinire e sistemare gli appartamenti.

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Il ricordo di quella notte

Albino Marsiglia e Lorenza Casula sono tornati nella loro casa dopo 8 anni. La quotidianità ritrovata la raccontano le foto esposte sui mobili e una scatola piena di biscotti fatti in casa. «Sono sardi – dice Albino invitando all’assaggio – perché mia moglie è di origine sarda». Un’origine ancora viva nell’accento di Lorenza che racconta del terrore di quella notte del 2012: «Dalla mia bocca usciva solo “Gesù mio, Gesù mio, Gesù mio”. E poi un pianto liberatorio appena ci siamo trovati in salvo».

Ma non è stata la scossa il momento peggiore. Almeno per Albino: «A me ha fatto paura il boato. Intanto che ci vestivamo si sentiva come un’ebollizione nel sottosuolo. Quella è stata la cosa più brutta, perché alle scosse ormai eravamo abituati da due anni».

I due anni di uno sciame sismico che in qualche modo aveva preparato i mormannesi. Ma solo fino a un certo punto. Perché a perdere tutto – o quasi tutto – non si è mai davvero preparati.

Il 30% dei mormannesi è ancora senza casa

Lorenza e Albino si definiscono «fortunati», e così Giuseppe, perché in tutti questi anni lontano da casa almeno hanno avuto un altro posto in cui vivere. Piccole abitazioni di campagna, per le quali si è reso necessario qualche aggiustamento, ma sempre meglio che pagare un affitto, come in tanti stanno facendo ancora oggi. «Sono vessati nonostante questa ferita nel loro cuore», dice il sindaco. Oltre all’affitto, devono pagare anche i tributi comunali al 50%, così come prevede la legge. «Stiamo studiando delle forme di sostegno per loro», spiega Pappaterra.

«Comprendiamo benissimo quello che stanno provando tutti coloro che non sono potuti rientrare a casa – dice Lorenza – perché l’abbiamo vissuto in prima persona. È una forma di lutto, anche se non ci è morto nessuno».

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La rabbia di chi non è potuto rientrare

Nello stesso stabile di Albino e Lorenza si trova l’appartamento di Carmelo Aiello, che mostra un altro volto di Mormanno: quello arrabbiato di chi non è riuscito a riavere quello che aveva perso. «La mia casa è passata da inagibile a inagibile», lamenta. E questo nonostante i lavori. «Per finirla ci vogliono ancora circa 150mila euro che dovrò mettere di tasca mia, non rientrerò mai». La rabbia la scaglia contro il Comune, al quale, dice, non avrebbero dovuto dare i soldi da gestire.

Il sindaco Pappaterra il caso lo conosce. «Capisco il suo stato d’animo, perché non riuscire a tornare a casa dopo tutti questi anni non è facile. Ma noi abbiamo fatto quanto di nostra competenza: il suo appartamento in effetti è grezzo, non è vivibile, ma al Comune spetta occuparsi degli interventi strutturali, non del resto. A noi interessa che la casa sia sicura, ed è chiaro che laddove più grosse sono le anomalie più grosso è l’intervento necessario. Il resto purtroppo devono mettercelo i proprietari, così come altri hanno già fatto. Mi rendo conto delle difficoltà del signor Aiello perché il suo è un appartamento molto grande e per rifinirlo servono molti soldi. L’unica cosa che posso dire è che cercheremo, appena ce ne sarà la possibilità, di dare un piccolo sostegno per questa spesa, a lui come a tutti gli altri».

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