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IL RICORDO | C’era una volta a Mormanno… Il mattino dopo il terremoto tra la gente che va via: «Non ci sentiamo più sicuri» | FOTO

La notte insonne, la paura, la fuga: un salto nel passato, a quel 26 ottobre 2012 che cambiò il volto e l’anima del paese

IL RICORDO | C’era una volta a Mormanno… Il mattino dopo il terremoto tra la gente che va via: «Non ci sentiamo più sicuri» | FOTO

A molti è crollato il mondo addosso. E non per i ricordi di una vita che il terremoto ha gettato sul pavimento senza riguardo, ma perché dall’1:05, da quando una scossa di magnitudo 5, la più forte di uno sciame sismico che si trascinava da tempo, ha interrotto i sonni e i sogni dei mormannesi, niente è più come prima. Te li ritrovi davanti alla porta di casa, a stipare quanta più roba possibile nel bagagliaio dell’auto, o a mettere quello che si può in una borsa, alla rinfusa ché tanto l’importante è andare via prima possibile, e poi sparire in fondo alla via dove c’è qualcuno che aspetta.

Quelle case che hanno ospitato tanti momenti importanti non sono più le stesse. Sono diventate improvvisamente estranee, nemiche da cui difendersi. «Io qui non ci dormo», dice la signora Annunziata ferma sulla soglia, dove compare attirata dal rumore dei passi sulle tegole cadute in cortile. Sul volto e negli abiti che indossa ci sono i segni di una ferita ancora fresca, di un dolore grande che il terremoto ha reso insopportabile. «Sono sola qui, mio marito è morto tre mesi fa».

Un paese in fuga

Gli occhi si fanno lucidi, con uno sforzo evidente Annunziata trattiene le lacrime e racconta del momento in cui l’incubo ha squarciato il velo dei sogni. «A casa è caduto tutto. Ho dormito fuori, vicino alla Madonnina». La “Madonnina” si trova poco più sopra, è un’edicola votiva della Madonna del Castello ricavata nella roccia. Lì, in un punto del paese a 840 metri d’altezza, la gente del quartiere ha passato la notte dopo la scossa.

Annunziata era lì con loro, per la prima e ultima volta. Mentre altri, infatti, si preparano a un’altra notte all’aperto, Annunziata si prepara a lasciare il suo paese. «Vado da mia figlia a Castrovillari – dice –. Se c’era ancora mio marito magari restavo, ma sono sola». Sul letto ci sono i vestiti, tutti neri, sul tavolo il borsone pronto ad accoglierli. Sul fornello l’ultimo caffè prima di lasciare casa, da sorseggiare in fretta perché fuori ci sono i vigili del fuoco che le intimano di sbrigarsi.

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Ci sono i sopralluoghi in corso in paese. Oltre agli uomini del 115 e a quelli della Protezione civile, ogni tanto compare qualche abitante. C’è chi si aggira con l’aria di non sapere bene cosa fare e chi, borse alla mano, ha preso la sua decisione. Da una casa arrivano le voci di una discussione animata tra chi vuole andarsene «perché tanto il terremoto c’è sempre» e chi, invece, non vuole lasciare la propria casa.

Il signor Giuseppe ha la macchina parcheggiata sotto casa, il portabagagli aperto pieno di coperte. «Abbiamo una casa in campagna, ci trasferiamo lì». Lui come altri che, almeno, hanno la fortuna di avere una seconda abitazione in cui rifugiarsi. «Ormai è da tempo che dura questa storia, ma stanotte è stata troppo forte e abbiamo paura».

Insicurezza e paura

Mormanno, la mattina dopo, si presenta così. Un paese ancora in piedi ma su gambe malferme. Nessuna vittima, diversi danni, tanta paura. E dormitori allestiti nelle macchine. La signora Maria Teresa cammina per strada con in mano una bottiglia di aranciata e dei bicchieri di plastica. In macchina ci sono i figli ad aspettarla. «Siamo venuti qui stanotte dopo la scossa. Casa nostra è quella» dice indicando un palazzo di fronte con una lesione sulla parete. C’era già prima la lesione, spiega, «ma magari adesso si è allargata».

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Molti mormannesi non si sentono più sicuri. C’è chi è letteralmente schizzato fuori di casa e non vi è più rientrato, se non per prendere delle coperte e qualcosa da mangiare. Sfinito da una situazione che dura ormai da tempo, lo sciame sismico con il quale aveva imparato a convivere. Fino alla scossa dell’1.05. «L’altra sera guardavamo la partita e abbiamo sentito il divano tremare, ma ormai eravamo abituati». Carmelo e Domenico ostentano una normalità che non c’è, seduti a giocare a carte al tavolino di un bar. Ma poi ammettono: «È vero, sono due anni che conviviamo con questa situazione, ma la frequenza è diventata preoccupante. Poi, dopo stanotte, è difficile anche dormire».

Anche loro hanno passato la notte in auto. Senza chiudere occhio. «Ho fatto il carabiniere per quarant’anni – dice Carmelo – e non ho mai avuto paura. Stavolta ho avuto paura».

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