lunedì,Maggio 20 2024

Il vampiro del Sud Ribelle (vent’anni dopo)

A 20 anni dalla manifestazione No Global di Cosenza, la ferita più profonda è stata la spoliticizzazione delle battaglie di libertà (sempre più spesso, e comprensibilmente, sospinte a un pragmatismo parrocchiale resiliente e compatibile)

Il vampiro del Sud Ribelle (vent’anni dopo)

Passati ormai vent’anni da quella operazione, bisognerebbe consegnare le carte di Sud Ribelle a uno sceneggiatore visionario e a un bravo teorico del diritto. Il clima che attornia il procedimento Sud Ribelle, molto prima che la sua vera cartolarità processuale, per anni di vita politica e civile in Italia, è una sorta di racconto in puntate che trasforma la caccia alle streghe in massacro, il massacro in bolla di sapone, la bolla di sapone in aspersorio di carriere. La tesi di queste note è che quella mentalità, mentre i provvedimenti concreti sono stati variamente cassati e di certo superati alla memoria collettiva, è largamente penetrata infiltrando persino fasce sociali e movimenti antagonisti contro cui era rivolta.

Questo ventennio, se speriamo di riuscire a non fargliene generare un Altro (con la lettera maiuscola), ha messo insieme Kafka e Foucault. Ha fatto processi sommari, con etichette e fanghi peggiori di ogni Stato di diritto, e si è così esso stesso trasformato in una perenne arringa d’accusa da investire completamente ogni sano spazio di trasformazione.

Ricordiamo tutti benissimo l’antefatto materiale: il vertice del G8 di Genova. I grandi della terra tenevano sulla scrivania i dossier oggi esplosi: l’indebitamento pubblico dei Paesi del Terzo Mondo e lo sfruttamento a basso costo della loro forza lavoro e delle loro materie prime; i cambiamenti del clima e le catastrofi ambientali; la periferizzazione della guerra permanente, la guerra per la guerra, in un altrove che poteva sempre diventare “qui e adesso”.

La repressione dei movimenti di contestazione ha avuto molte facce, così tante che forse per questo abbiamo perduto o forse mai avuto la possibilità di darne una lettura unitaria. Il procedimento radicato a Cosenza riguardava soprattutto l’aspetto ideologico. I passaggi politici e organizzativi di ogni manifestazione rappresentati come prove tecniche di sedizione.

Quello non era invero un male nuovo, il dissenso propositivo e radicale – fondamentale a ogni democrazia costituzionale – mette costantemente sotto osservazione i temi del potere. Se lo fa troppo a lungo o con troppa forza, quel dissenso deve all’opposto essere riconosciuto come turbolento, conturbante, turbativo. In altre parole: distruttivo. Da distruggere prima che distrugga. Cosa non si sa.

Le viscere del Paese ricordano però che clima vi fosse: una nuova, schiacciante, maggioranza parlamentare; una narrazione di consenso al lavoro precario, allo sradicamento, all’uso internazionale della forza; una sinistra divisa tra velleità di palazzo ed echi di piazza. La caccia alle streghe come servizio di disinfestazione sociale era già attiva. Ben più duri sono stati i tanti procedimenti stavolta non basati sulla condanna altisonante delle opinioni, ma sulla condanna anonima dei fatti. Condanne spropositate per danneggiamenti mal provati, per tumulti senza responsabili individuati e individuabili, annose richieste risarcitorie. Tutte, o quasi, sotto silenzio; tutte, o quasi, protette dagli anni passati, dalla banalità delle ipotesi di reato, dalla minuziosità delle carte.

Ben diversa traiettoria seguirono dirigenti ed esecutori, mandanti e funzionari, di un servizio di sicurezza che aveva sulle spalle vizi logistici e genetici evidentissimi (il primo, più bruto, più materiale, quello sul quale mappe alla mano non avrebbe da ridire nemmeno il più incallito conservatore: tutta quella gente, compressa nel minuscolo perimetro di “zona rossa”, era destinata se va bene a bolgia, se va male a mattanza). Ed è lecito credere che non solo imperizia sia stata, ma anche intenzione, perlomeno d’alcuni: perché abbiamo visto il sangue per strada, i danni permanenti alla salute, i tentativi riusciti e non di seminare prove per giustificare rastrellamenti. Fossero o meno penalmente colpevoli, sia stato o meno riconosciuto da una sentenza avente effetto di giudicato, papaveri e papere, per usare in modo non dissacrante il noto ritornello di Nilla Pizzi, furono presto o tardi innalzati a miglior carriera.

Tra le ferite di Sud Ribelle, la più profonda è però stata la spoliticizzazione delle battaglie di libertà (sempre più spesso, e comprensibilmente, sospinte a un pragmatismo parrocchiale resiliente e compatibile), unita alla velenosa ricerca dell’udienza totale, della ghigliottina lucidata sul sagrato, in nome di chissà quale fede che “altra superiore non riconosce”.

I girotondi volevano processare Berlusconi, non superare le sue politiche. Il Movimento 5Stelle delle origini voleva processare il parlamento, e i parlamentari (già) condannati o prescritti. Il Movimento 5Stelle di governo voleva spazzare i corrotti, e i suoi alleati volevano spazzolare tutta la varia spazzatura del loro personalissimo decoro urbano. Anche gli oppositori, di piazza o d’aula che fossero, avevano ormai morso la spugna d’aceto: candidarsi a inasprire le pene per ogni emergenza sociale.

Chi vuole il fine pena mai per un certo tipo di condannati (senza che vedano la famiglia, che possano lavorare alcune ore o cucinarsi in cella) non è affatto così diverso da chi vuole sloggiare con la forza e con pene edittali non più proporzionali gli sbarchi di migranti o le concentrazioni superiori alle cinquanta persone. Uno sarà rosso e uno sarà nero, ma se un vampiro ti morde sempre vampiro diventerai. Capelli biondo platino, ricci di rame o zazzere scure.

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