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Storie sovversive: «Così il nostro impegno politico fu messo sotto accusa»

Nella notte del 15 novembre 2002, venti persone furono arrestate. Tra queste c’erano Anna Curcio, Francesco Cirillo, Claudio Dionesalvi: per loro gente da tutta Italia scese in piazza a Cosenza. Ecco il loro racconto, con un piede nel passato e lo sguardo nel futuro

Storie sovversive: «Così il nostro impegno politico fu messo sotto accusa»

Prima il carcere, poi la scarcerazione, per qualcuno i domiciliari. Furono trattati come terroristi, ma il terrore, in realtà, era il loro. Terrore delle ingiustizie, dei soprusi, dei diritti cancellati, di un ambiente saccheggiato in nome di un malinteso concetto di progresso. Sognavano un mondo migliore e sentivano quel sogno minacciato. Ne discutevano nelle assemblee, lo urlavano nelle piazze. Vent’anni dopo dicono: «Avevamo ragione noi».

L’arresto li sorprese nel cuore della notte, il 15 novembre 2002. Anna Curcio fu tra le venti persone che provarono sulla loro pelle lo «sgomento» di quelle accuse gravissime e inverosimili. «Sono stata prelevata da casa con la forza, la percezione fu quella di una misura assolutamente spropositata rispetto all’impegno militante che portavo avanti da anni».

Francesco Cirillo passò dieci giorni in isolamento nel carcere di Trani. «Scoprii dopo che avevo la casa microfonata, l’auto sotto controllo con un sistema satellitare che monitorava tutti i miei spostamenti. Ci hanno arrestato sulla base di intercettazioni che non significavano niente. Ne dico una: io ero in macchina con un’altra persona, anche questa indagata, che a un certo punto mi dice: “Perché non passiamo da Firenze ché voglio fare una sparata?”. È evidente che la “sparata” fosse un modo per dire una toccata mordi e fuggi, per gli inquirenti invece si riferiva a chissà quale atto terroristico, atto che però non c’è mai stato».

Il ricordo è quello di grossi fascicoli con dentro «una mole enorme di intercettazioni ma assolutamente inconsistenti». Un’esperienza traumatica che mosse però anche qualche piccola soddisfazione. «Fu una reazione scomposta rispetto a una mobilitazione vasta e molto articolata, che seguiva la reazione scompostissima di Genova – evidenzia Anna Curcio –. Da una parte rimasi spiazzata per quelle contestazioni, dall’altra ci fu la sensazione che quel movimento da un punto di vista politico avesse realmente mosso qualcosa. Questa è la parte bella, l’esperienza forte che mi porto dietro».

La grande manifestazione di Cosenza

Lo sconcerto per gli arresti sfociò in un’ondata di solidarietà che il 23 novembre di quell’anno travolse Cosenza al grido di “liberi tutti”. Francesco Cirillo non se ne accorse neppure. Isolato a Trani, era «nel buio assoluto». Della manifestazione gli raccontarono dopo: «Partecipò mia madre, aveva 80 anni e divenne la mamma no global. Sfilò affianco al sindaco, fu intervistata, ebbe il suo momento di gloria. C’era tutta la popolazione, fu commovente, anche se lo seppi successivamente».

Anna Curcio era ristretta ai domiciliari, dopo essere stata scarcerata per motivi di salute. «Scese la mia famiglia in piazza. C’erano compagni di scuola, amici fraterni. Ci sono tante ragioni che secondo me resero possibile quella mobilitazione: intanto la città era centro di esperienze legate al movimento no global, ma giocò a favore anche il ruolo del sindaco, un sindaco “illuminato” che si era messo all’ascolto di certe istanze. Certo, ci furono pure atteggiamenti paternalistici da parte delle istituzioni, ma è nell’ordine delle cose in eventi di questo tipo. In più c’era un clima politico che in quell’autunno del 2002 era ancora carico dell’esperienza di Genova, tant’è che arrivarono persone da tutt’Italia».

Liberi tutti

Li volevano liberi e la libertà arrivò. La fine dell’esperienza traumatica del carcere la racconta Claudio Dionesalvi. Ne uscì il 22 novembre, giusto in tempo per partecipare poi alla manifestazione. L’immagine più nitida è quella del rientro a Cosenza, l’arrivo in città alle 2 di notte e il calore delle torce accese all’uscita dell’autostrada, che spensero quel buio durato giorni. Anche se ancora non era tutto finito e la vicenda giudiziaria avrebbe ancora condizionato la vita di queste persone, fino a un’assoluzione piena con tanto di risarcimento.

Francesco Cirillo, poco prima della scarcerazione, fu trasferito a Palmi: «Alle 3 di mattina mi misero in cella con un boss della Locride. Dopo qualche giorno il tribunale del Riesame ci rimise in libertà, ma per un anno e mezzo ebbi l’obbligo di dimora nel mio paese».

Il ricordo di quei giorni è un ricordo doloroso. «Quell’esperienza mi ha cambiato l’esistenza – ammette Dionesalvi –. Quando si milita certe cose si mettono in conto, ma le modalità dell’arresto e le accuse erano fuori da ogni logica. Qualche ora prima ero a parlare con i genitori dei miei alunni e poco dopo mi ritrovavo con un mitra puntato in faccia e pronto per essere trasportato in un carcere speciale».

Ma è anche il ricordo di un periodo vivo, di entusiasmi, di dignità serbate oltre le umiliazioni inflitte, dell’orgoglio di essere dalla parte giusta della storia e di una convinzione che si fece motore di qualcosa di grande: un mondo migliore è possibile. Vent’anni dopo, però, il ricordo deve andare al di là di se stesso, aprirsi alla riflessione, spalancarsi sul presente.

Vent’anni dopo

«Oggi c’è un vuoto assoluto di partecipazione – dice Francesco Cirillo –. Lo Stato ha messo in atto una serie di misure che hanno frenato quel fermento. Non dimentichiamo che a Genova ci fu un morto e questo ha determinato in qualche modo lo scoramento di quanti avevano partecipato».

«Di fronte allo scempio di Genova il movimento ha avuto paura, tanti si sono ritirati dalla militanza dopo lo shock di quell’esperienza – afferma Anna Curcio –. Ma c’è stata anche la paura che il movimento ha avuto di assumersi la responsabilità di gestire lo spazio di possibilità di cambiamento che aveva aperto. Forse non eravamo preparati a gestire una seconda fase. Quell’esperienza si è poi attorcigliata attorno al tema “violenza-non violenza” e ha portato allo scoperto un po’ di nodi irrisolti che avevano fino a quel momento tenuto insieme realtà anche molto diverse».

È di nuovo Cirillo a dare la sua visione: «Il movimento si è arrestato perché da una parte c’è stata una deriva elettoralistica che ha spento alcuni entusiasmi, dall’altra molti sono fuoriusciti perché non trovavano più motivazioni unitarie con gli altri gruppi. Nei movimenti però questo succede ciclicamente, non essendo entità strutturate non riescono a garantire una continuità».

Eppure avevano ragione, così dicono. «È verissimo che avevamo ragione – sottolinea Anna Curcio –. Ma nel frattempo nell’arco di questi vent’anni abbiamo visto poche mobilitazioni di massa. Secondo un’analisi sociologica e politologica, le grandi spinte al cambiamento si producono quando c’è la possibilità di immaginare quel cambiamento. Oggi viviamo una condizione di impoverimento non solo economico ma anche culturale: prima di metterci insieme avremmo bisogno di concepire delle aspettative, ho l’impressione invece che il mondo stia andando da un’altra parte. Aggiungo però: spero di essere smentita».

Claudio Dionesalvi dice che il suo grande cruccio è quello di capire «come agitare il presente». E per Francesco Cirillo non è detto che non ci si possa riuscire: «Io sostengo che i movimenti sono come i terremoti: non si riesce a prevederli». La scossa, dunque, potrebbe tornare a farsi sentire? «Io ci credo».

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