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Caso Bergamini, l’inchiesta “segreta” della Procura di Torino

Alla tragedia di Roseto Capo Spulico del 1989 s'interessò anche il pm Raffaele Guariniello che, dieci anni dopo, indagò sulle morti sospette dei calciatori

Caso Bergamini, l’inchiesta “segreta” della Procura di Torino

Non è la Procura di Castrovillari l’unica ad aver indagato sulla morte di Donato Bergamini. Ben tre le inchieste istruite dagli uffici giudiziari del Pollino a partire dal 1989, ma ne esiste anche una quarta della quale fino a oggi si sapeva poco o nulla. Nel 1999, infatti, a dieci anni dalla tragedia di Roseto Capo Spulico, alla vicenda si è interessata pure la Procura di Torino.

Le morti sospette dei calciatori

A occuparsene fu l’allora pubblico ministero Raffaele Guariniello, celebre per le sue inchieste in ambito sportivo e sanitario. All’epoca aveva appena avviato l’indagine sui presunti abusi di farmaci da parte dei calciatori italiani con conseguenze letali per alcuni di loro. Da Armando Picchi a Bruno Beatrice, passando per Giorgio Rognoni e fino ad Andrea Fortunato sono più di cento i decessi di atleti avvenuti fin dagli anni Settanta per tumori, epatiti e Sla. L’interesse di Guariniello è trovare conferma al suo teorema – l’esistenza di cosiddette malattie professionali – e più in generale andare a fondo su tutte le morti sospette di calciatore registrate negli ultimi sedici anni. E così fra i casi passati al vaglio in quei giorni dal suo ufficio s’inserisce anche quello del centrocampista del Cosenza.

L’ex magistrato Raffaele Guariniello

Il fallimento dell’inchiesta

Il 25 maggio del 1999, il magistrato torinese chiede all’allora procuratore di Castrovillari, Agostino Rizzo, di trasmettergli «con urgenza» tutta copia della documentazione relativa al processo di Trebisacce chiusosi con l’assoluzione del camionista Raffaele Pisano dall’accusa di omicidio colposo. Da quel momento in poi, dunque, anche il caso Bergamini entra a far parte della sua inchiesta epidemiologica sul tema sport e dintorni che ben presto, però, si risolverà in un nulla di fatto. I suoi investigatori non riusciranno a dimostrare un collegamento fra l’abuso di farmaci e il decesso dei calciatori, tant’è che in seguito le indagini si concentreranno solo sul primo aspetto – l’utilizzo di medicinali dopanti – culminando in un processo a carico di dirigenti della Juventus e del Torino conclusosi nel 2007 con assoluzioni e prescrizione dei presunti reati.

La richiesta di trasmissione degli atti sul caso Bergamini inoltrata dalla Procura di Torino e la risposta del procuratore di Castrovillari

Perché si è parlato di Aids

Il tema di una patologia che poteva assillare Denis nei suoi ultimi giorni di vita è stato ripreso dall’avvocato Angelo Pugliese durante una delle ultime udienze del processo contro Isabella Internò, l’ex fidanzata del calciatore sotto accusa per omicidio volontario. «È possibile che Bergamini avesse l’Aids?» ha chiesto il difensore dell’imputata ad alcuni dei medici legali sentiti in aula come testimoni. La sua sortita ha suscitato polemiche e sdegno, ma non era frutto di fantasia o improvvisazione. Un interrogativo analogo, infatti, se l’era posto già nell’immediatezza  l’avvocato Andrea Toschi, allora rappresentante di parte civile della famiglia Bergamini, con una consulenza specifica in materia chiesta al professor Antonio Dell’Erba, ordinario di medicina legale all’Università di Bari.

Il quesito formulato dall’avvocato Toschi al professor Dell’Erba

La consulenza chiesta allo specialista

Fra i quesiti che l’avvocato ferrarese gli pone per iscritto il primo giugno del 1990 ce n’è anche uno con cui gli chiede se è possibile accertare, attraverso i reperti, l’eventuale sieropositività del calciatore. «Lei avrà compreso come i familiari, tendendo a scartare l’ipotesi del suicidio, si interroghino circa ogni possibile causa» gli scrive Toschi per motivare quel dubbio così scottante e delicato. «L’impostazione di noi difensori è più pragmatica» aggiunge a mo’ di ulteriore giustificazione. Anche lui, insomma, cerca una spiegazione «ai comportamenti abbastanza anomali» tenuti da Bergamini «nell’imminenza del fatto», e la risposta di Dell’Erba arriva nove giorni dopo. Lo specialista parla di «una teorica possibilità» di verificare la presenza di infezioni latenti da Hiv con metodi immunoistochimici, in quei giorni utilizzati proprio a Bari, ma ancora «in fase di programmazione sperimentale» e dunque non così affidabili da essere poi utilizzati «in ambito forense».

La risposta dello specialista barese

Psicosi da contagio

Perché Toschi pensava che Bergamini potesse aver contratto l’Aids? All’epoca si sapeva davvero poco sull’origine dell’Hiv e sui possibili veicoli di trasmissione da un essere umano all’altro. Basta pensare che proprio nel 1990 alcuni importanti virologi americani sponsorizzavano la teoria – rivelatasi poi infondata –  che i contagi avvenissero anche per vie aeree, attraverso la saliva o un semplice starnuto. È verosimile, insomma, che più che un sospetto il suo fosse solo uno scrupolo determinato dalla psicosi e dall’incertezza di quei giorni.   

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