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Dall’altare alla polvere andata e ritorno, prodezze e amarezze di Michele Padovano

Ripercorriamo le tappe dell'odissea giudiziaria dell'ex calciatore di Cosenza e Juventus assolto ieri dall'accusa di narcotraffico internazionale

Dall’altare alla polvere andata e ritorno, prodezze e amarezze di Michele Padovano

Manca ancora il sigillo della Cassazione, ma per Michele Padovano l’incubo di una condanna e la prospettiva del carcere sono quasi certamente uno spauracchio che appartiene ormai al passato. Ieri, infatti, l’ex attaccante del Cosenza – poi della Juventus e di tante squadre di serie A – è stato assolto dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico che, in precedenza, gli era costata la condanna a otto anni e otto mesi di reclusione. Un verdetto confermato nei primi due gradi di giudizio e poi annullato dalla Cassazione che, un anno fa, aveva disposto la celebrazione di un nuovo Appello. E il replay del processo, conclusosi ieri, ha dato ragione all’ex calciatore oggi 56enne.

Le telefonate ambigue

I suoi guai giudiziari erano cominciati nel 2004, epoca in cui la Procura di Torino indaga su un giro di narcotraffico internazionale, in particolare quintali di hashish provenienti dalla Spagna e diretti in Italia a bordo di un tir. Nel mirino finisce il torinese Luca Mosole, considerato il promotore del gruppo, e diverse intercettazioni telefoniche lo immortalano a colloquio con il suo amico d’infanzia Padovano.  Conversazioni ambigue, costellate di termini come «cavallo», «gru» e «terreni» che, secondo gli investigatori, ammiccano al traffico di droga in corso. Viene fuori che lo stesso Padovano si reca in un piccolo ufficio postale del Piemonte e deposita un’ingente somma di denaro prelevata da una scatola di scarpe. Alla fine ammonterà a centomila euro la somma di denaro transitata dalle sue tasche in quelle dell’amico. Sospetti su sospetti: e così agli occhi della Legge anche lui diventa finanziatore del progetto criminale.

L’arresto

Sulla scorta di questi elementi, il 10 maggio del 2006 scatta l’operazione “Tuareg” che oltre a comportare il sequestro di hashish per quattordici milioni di euro, determina l’arresto di una quarantina di persone ritenute coinvolte nel giro losco, tra cui proprio il presunto capo e il suo amico calciatore. In seguito, trentadue di loro risolveranno la partita giudiziaria che li riguarda con patteggiamenti e abbreviati, incassando pene comprese fra quattro e vent’anni di reclusione. Al netto di assoluzioni e proscioglimenti – fra cui quello di Nicola Caricola, ex calciatore di Juve e Bari – a giudizio resteranno solo Padovano e Mosele. Al termine del processo di primo grado l’accusa chiede per loro pene esemplari, rispettivamente 24 e 44 anni di carcere, ma la mano dei giudici sarà meno pesante per entrambi.

Indizi d’innocenza

Le condanne sono poi confermate in Appello, ma in Cassazione le carte si rimescolano. I giudici romani, infatti, concordano con i difensori di Padovano: quelle intercettazioni possono essere state equivocate. I precedenti Tribunali non hanno considerato a dovere il forte legame d’amicizia che intercorreva fra i due, ritenendo che i prestiti in denaro avvenissero in concomitanza con gli eventi clou del narcotraffico. Non era così, invece, per la difesa, secondo cui l’unica “colpa” di Padovano era quella di «aver fumato qualche spinello» senza però far parte dell’organizzazione. Quei soldi, insomma, li aveva prestati al suo vecchio amico per aiutarlo a risollevarsi finanziariamente, ma senza partecipare all’attività illecita come dimostrato, peraltro, dai controlli eseguiti sui suoi conti correnti. La Cassazione, dunque, annulla la precedente condanna chiedendo ai giudici d’Appello di riconsiderare gli indizi difensivi trascurati dagli altri tribunali, e il verdetto stavolta dà ragione a Padovano. Sei anni e otto mesi, invece, la condanna inflitta all’altro imputato.

La carriera

Michele Padovano ha coronato la sua carriera sportiva vincendo la Champions league con la Juventus nel 1996. Memorabile il suo goal allo stadio “Delle Alpi” contro il Real Madrid. In Calabria il suo nome è legato a due colori (rosso e blù) e a una città: Cosenza. Qui ha scritto una pagina importante della sua carriera tra il 1986 e il 1990, conquistando una promozione in serie B. Aveva solo 20 anni quando approdò in riva al Crati, proveniente dall’Asti, compagine che militava in serie C2, e negli anni successivi ha militato in squadre come Pisa, Reggiana, Napoli, Genoa, Juve e Como arrivando a vestire anche la maglia della Nazionale. Ha disputato anche due campionati all’estero, in Inghilterra con il Crystal Palace e in Francia tra le fila del Metz.

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