Quando il lockdown rovinò gli accordi tra i narcos di Cosenza e Reggio Calabria
Nell’inchiesta Recovery il pranzo a Scilla tra gli emissari dei clan bruzi e degli Alvaro. A tavola si traccia una mappatura aggiornata della geografia mafiosa. E quell'analisi spietata: «Senza la movida perdiamo il 40% del fatturato»
«Tu togli la sera… la movida… hai già perso il 40%». Michele Rende, emissario dei clan confederati di Cosenza, ha davanti a sé Giuseppe Violi che, per i magistrati della Dda di Catanzaro, è uno dei fornitori di riferimento del gruppo. Violi sarebbe legato al clan Alvaro di Sinopoli: aristocrazia della ’ndrangheta. Il dialogo avviene in un ristorante di Scilla ed è una guida ai rapporti tra le cosche calabresi. Uno dei passaggi chiave è di natura economica. Nel maggio 2021, all’epoca di questo incontro documentato nell’inchiesta Recovery, l’Italia sperimenta ancora gli strascichi delle chiusure per tamponare l’emergenza pandemica.
Il Covid mette in crisi anche il business della droga. Giuseppe Violi, per l’accuso uno degli emissari del clan di Sinopoli, si lamenta del contesto («ora non stiamo facendo più niente, mannaggia la miseria») anche se non considera la situazione troppo drammatica («comunque si fa lo stesso»). Rende passa dalla valutazione sul fatturato a una quasi sociologica: «Sì ma la “movida” hai capito?… esci… per dire… ti bevi un cocktail…invece di fartene un mezzo te ne fai uno… poi aumenti… invece là dici “poi devo tornare alle dieci”». I presunti narcos calabresi non erano entusiasti delle misure anti Covid.