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“Sybaris”, dopo 8 anni la sentenza d’Appello: ne bis in idem per Francesco Abbruzzese

Arriva la sentenza di secondo grado del processo che ha fatto luce sull’attività mafiosa della presunta cosca degli “zingari” di Cassano all’Jonio nella Sibaritide. Assolti anche Rocco Azzaro e Ciro Nigro. Confermata la condanna a 22 anni di carcere per Salvatore Di Cicco, vittima di lupara bianca. La giustizia ha tempi lunghi, così lunghi che

“Sybaris”, dopo 8 anni la sentenza d’Appello: ne bis in idem per Francesco Abbruzzese

Arriva la sentenza di secondo grado del processo che ha fatto luce sull’attività mafiosa della presunta cosca degli “zingari” di Cassano all’Jonio nella Sibaritide. Assolti anche Rocco Azzaro e Ciro Nigro. Confermata la condanna a 22 anni di carcere per Salvatore Di Cicco, vittima di lupara bianca.

La giustizia ha tempi lunghi, così lunghi che la sentenza di secondo grado del processo “Sybaris” arriva a distanza di otto anni dalla prima emessa il 12 giugno del 2008 dal tribunale collegiale di Castrovillari. “Sybaris” è una delle tante inchieste della Dda di Catanzaro che nei primi anni del 2000 stroncò l’avanzare criminale degli “zingari” di Cassano all’Jonio e delle vari cosche della Sibaritide, avviando una serie di indagini – da “Lauro” a “Timpone Rosso” – che hanno fatto emergere un tessuto sociale a sfondo mafioso.

Oggi, quindi, il secondo grado di giudizio si conclude dopo due anni dalla prima udienza svoltasi davanti alla Corte di Appello di Catanzaro, presieduta dal presidente Francesca Garofalo (giudici a latere Antonio Giglio e Antonio Saraco). La procura generale aveva chiesto la conferma della sentenza di Castrovillari, all’epoca letta dal giudice Sergio Caliò, ma il nuovo collegio giudicante ha ribaltato alcune posizioni, tra cui quella di Francesco Abbruzzese, alias “Dentuzzo” – difeso dall’avvocato Roberta Provenzano – per il quale è stata emessa una sentenza di assoluzione per ne bis in idem in quanto già assolto anche nel processo “Tamburo”. In primo grado il presunto capo mafia della cosca Abbruzzese aveva avuto una condanna a sette anni di carcere. Non doversi procedere per lo stesso motivo anche per Rocco Azzaro (in primo grado condannato a 4 anni e difeso dagli avvocati Antonio Sanvito e Francesco Oranges) e Ciro Nigro (in primo grado 4 anni e difeso dagli avvocati Antonio Sanvito e Marcello Manna).

Rispetto alla precedente sentenza, sono stati assolti per non aver commesso il fatto Natale Altimari e Antonio Basile, condannati in primo grado rispettivamente a 2 anni e 6 mesi e 3 anni e 8 mesi di carcere. Inoltre, è stata emessa una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta morte del reo nei confronti di Nicola Bevilacqua (in primo grado condannato a 4 anni e 6 mesi), mentre è stato dichiarato prescritto il reato ascritto a Nicola Abbruzzese che in primo grado era stato condannato a 6 mesi di reclusione.

La Corte di Appello di Catanzaro ha confermato, invece, le altre condanne: 6 anni e 8 mesi ad Antonio Serrago; 7 anni a Damiano Pepe; 6 anni e 8 mesi a Dino Oliva; 3 anni e 8 mesi a Antonio Basile; 7 anni e un mese ad Aldo Caporale; 7 anni e 6 mesi per Antonio Gatto; 6 anni e 8 mesi a Renato Nociti; 10 anni e 6 mesi a Leonardo Mario Arcidiacono; 22 anni a Salvatore Di Cicco. Quest’ultimo – vittima di lupara bianca ma per lo Stato ancora irreperibile – aveva sul groppone 22 capi d’accusa, dall’associazione mafiosa ad altri 20 reati fine. Infine è stato riunito il procedimento che riguardava Pino Gagliardi (difeso dall’avvocato Lucio Esbardo) condannato in primo grado e assolto oggi in Appello. Gagliardi aveva scelto il rito abbreviato.

Gli imputati – a vario titolo – erano accusati di associazione mafiosa, narcotraffico e altri reati che sarebbero stati commessi per agevolare la presunta cosca di appartenenza a Cassano all’Jonio e in territori limitrofi fino a luglio del 2002.

Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Roberta Provenzano, Antonio Sanvito, Francesco Oranges, Marcello Manna, Gianluca Garritano, Arnaldo Parrotta, Anna Elisa Caporale e Paolo Carnuccio, Luigi Bonofiglio, Vincenzo Galeota e Cristoforo Salerno. (Antonio Alizzi)

 

 

 

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