martedì,Marzo 19 2024

Loviso, il “conte” dello spogliatoio: «Ho il sangue del sud, mi innamorai di Baggio»

– di Carmen Esther Artusi Il centrocampista del Cosenza Massimo Loviso si racconta: «Bologna, la mia città, è a misura d’uomo. A Cosenza, dove voglio restare, c’è fame di calcio. Ho già deciso cosa farò da grande…» Chi è Loviso per il Cosenza? «Una persona importante. E mi sento tale a prescindere dal numero di presenze

Loviso, il “conte” dello spogliatoio: «Ho il sangue del sud, mi innamorai di Baggio»

– di Carmen Esther Artusi
Il centrocampista del Cosenza Massimo Loviso si racconta: «Bologna, la mia città, è a misura d’uomo. A Cosenza, dove voglio restare, c’è fame di calcio. Ho già deciso cosa farò da grande…»

Chi è Loviso per il Cosenza?
«Una persona importante. E mi sento tale a prescindere dal numero di presenze collezionate. Io sono un tipo che non parla molto, cerco piuttosto di far parlare i miei comportamenti. E quando vedo che i compagni apprezzano l’esempio, allora capisco di aver dato il mio contributo».

Cos’è invece il Cosenza per Loviso?
«Sicuramente una piazza importante, che già conoscevo per aver avuto miei ex compagni giocare qua e per avere io stesso giocato qui vicino, a Crotone. Sapevo già cosa rappresenta il calcio per Cosenza e la sua fame di ritornare grande dopo una storia importante. Infatti, quando in estate mi chiamò Trincherà, non ci volle molto a trovare un accordo. Quest’anno siamo partiti così così, poi abbiamo iniziato ad aiutarci di più a vicenda e siamo diventati “squadra”. Ora siamo un gruppo che può dire la sua in questo campionato e io ci credo fermamente, a prescindere dal mio personale minutaggio. Anche se non vorrei sembrasse che non mi importa di giocare. Certamente non sono felice quando sto in panchina. Se così non fosse, significherebbe che non ho più sangue a scorrermi nelle vene e farei meglio ad appendere le scarpette al chiodo».

Le piace essere d’esempio per i compagni, è un motivatore e non di rado, durante le partite, la si vede in piedi davanti alla panchina. Sono tutti indizi del mestiere che vorrà fare da grande?
«Sì (ride, ndr). L’allenatore è un mestiere che mi affascina da sempre. Forse un pò il ruolo di centrocampista centrale ti predispone a ciò, perchè ti porta ad avere una visione a 360 gradi di quello che accade in campo e fra i reparti. Mi piace, nonostante non sia un mestiere semplice: ci sono 25 teste da capire, mille cose da notare, e in più, si sa, gli italiani sono un popolo di allenatori, quindi le scelte del mister sono sempre le più esposte alle critiche del pubblico. Non so ancora, pero’, tra quanto tempo ci arriverò. Come dicevo prima, al momento mi sento ancora bene e sento di avere tanto da dare come giocatore».

Lasciamo per un attimo da parte “Loviso” e passiamo a “Massimo”. Chi o cosa ha contribuito maggiormente a formare l’uomo che è oggi?
«Io penso che ognuno di noi abbia un talento, che può essere lo sport oppure, che so, fare lo chef. Il mio talento era quello di giocare a calcio e fin da bambino sentivo forte dentro di me quella voce che diceva “voglio fare il calciatore”. Arrivato ai 15/16 anni iniziavo a notare che quel talento, coltivandolo, era cresciuto, ma avevo anche qualcosa in più rispetto agli altri: una indistruttibile forza di volontà. E infatti, poi, a 19 anni arrivò per me la serie A. Dunque, bisogna trovare lo stimolo dentro, scegliere il proprio sogno e perseguirlo fino alla fine. Sognare è la vitamina della vita. Dobbiamo fare quello che ci rende felici e non trovare alibi per rinunciarvi alle prime difficoltà. Mi viene sempre in mente l’aneddoto di un tizio che vincendo una grossa somma al Superenalotto si sentiva apostrofare da una signora: “Ma guarda che fortunato quello lì a vincere tutti ‘sti soldi”. E il tizio rispondeva: “Signora, ma lei ci ha giocato almeno?”. La morale è: provarci sempre!».

Cosa le ha dato il calcio e cosa le ha tolto?
«In percentuale, mi ha dato il 90%. Quando una persona nella vita fa ciò che avrebbe voluto fare, è inevitabilmente felice e non c’è nulla che ti pesi: ne allenamenti duri, ne ritiri, niente. Mi ha tolto anche qualcosa? Forse nella vita privata e sentimentale. Per esempio, quando mi fidanzavo e poi dovevo cambiar città. Ma ancora sono giovane, arriverà il mio momento».

Che tipo è lontano dal campo? E’ vero che i suoi compagni l’hanno soprannominata “il conte”?
«Sì, è un soprannome che mi è stato dato una sera in cui ho voluto offrire la cena a tutti i miei compagni. E’ un modo simpatico con cui intendono dire che sono “un signore”. Per il resto, fuori dal campo cerco di passare più tempo possibile con i miei due nipoti e con i miei amici. È il modo migliore per ricaricare le batterie».

Nativo di Bologna. Come descriverebbe la sua città a chi non la conosce?
«Bologna è fantastica! È una città a misura d’uomo, innanzitutto. Per un calciatore che arriva da fuori, o per un ragazzo che viene ad iscriversi all’università, credo sia il meglio che possa desiderare di trovare. Forse un pò peggiorata negli ultimi anni, ma resta bellissima, affascinante e si mangia molto bene. Unico difetto: la nebbia».

Non tutti sanno, però, che si celano in lei radici lucane. Si sente, per qualche aspetto, un pò “terrone”?
«Io dico sempre che il mio sangue “tosto” è del sud, avendo i genitori entrambi della Basilicata. Lo sento nel mio carattere e nel mio temperamento. Viceversa, dal punto di vista lavorativo e dell’organizzazione, prevale di più l’indole settentrionale».

Torniamo al calcio. Nelle sue 58 presenze in serie A, chi è il calciatore che maggiormente l’ha impressionata?
«Tra quelli con cui ho giocato assieme, ne nomino sempre tre: Pagliuca, Signori e Diamanti.
I primi due impressionavano per carisma e personalità. Con Pagliuca in porta, ti sentivi sempre al sicuro. A Signori, qualunque palla passavi, finiva sempre in gol. Il terzo è un mio caro amico che continuo a frequentare spesso. Di lui, in campo, colpiva l’estro. Invece, tra quelli che ho incontrato da avversari, i più forti credo siano Baggio (il mio idolo di sempre) e Pirlo».

Alla fine di questa intervista, se lo lasci chiedere: resterà a Cosenza?
«A me non piace lasciare le cose a metà e per questo non mi piace pensare di andare via a gennaio. Non ho parlato con nessuno di una mia eventuale partenza, dunque al momento dovrei e vorrei restare. Certamente, nel calcio, non è mai detta l’ultima parola. Se domani dovesse convocarmi la società, dicendomi che non faccio più parte del progetto, allora farò le mie valutazioni. Ma al momento ciò non è successo».

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