mercoledì,Maggio 29 2024

L’inchiesta “Exodus” e «i server vuoti» delle procure italiane

Le intercettazioni illegali potrebbero riguardare, oltre che comuni cittadini, anche apparati dello Stato. A rischio tante indagini. L’inchiesta “Exodus” non finisce qui. La procura di Napoli, a distanza di tre mesi dal ricevimento degli atti del fascicolo, inviati a suo tempo dalla procura di Benevento, continua ad indagare e a raccogliere elementi di prova per

L’inchiesta “Exodus” e «i server vuoti» delle procure italiane

Le intercettazioni illegali potrebbero riguardare, oltre che comuni cittadini, anche apparati dello Stato. A rischio tante indagini.

L’inchiesta “Exodus” non finisce qui. La procura di Napoli, a distanza di tre mesi dal ricevimento degli atti del fascicolo, inviati a suo tempo dalla procura di Benevento, continua ad indagare e a raccogliere elementi di prova per chiarire ogni aspetto sul caso di “spionaggio” investigativo che interessa non solo tanti cittadini, ma probabilmente anche apparati dello Stato. Tutti ignari di essere intercettati illegalmente, chi attraverso “app” apparentemente sicure, ma che in realtà contenevano il famoso “virus-trojan”, chi invece con modalità che tutt’ora sono al vaglio dei magistrati campani. La storia “Exodus”, che al momento inguaia solo la società Esurv di Catanzaro e l’Stm di Pietrafitta, è destinata a coinvolgere altre aziende e altri soggetti, di cui forse si conosceranno le rispettive condotte delittuose col passare delle settimane.

Signora di Crotone “intercettata” 4mila volte

Questa vicenda, tuttavia, viaggia in due direzioni. Se la magistratura inquirente da un lato ritiene di aver interrotto un sistema criminale che in modo del tutto illecito captava file audio, file video, foto e conversazioni in modalità ambientale, di italiani e stranieri, dall’altro l’attività investigativa ha interrotto altrettanti attività d’indagine che fino a pochi mesi fa erano in corso, da Nord a Sud. Oltre al danno, dunque, anche la beffa di dover rifare tutto daccapo. Ovviamente senza “Exodus”.

Le intercettazioni illegali di “Exodus” hanno riguardato anche calabresi e in particolare una signora di Crotone, di cui la società Esurv ha acquisito quasi 4mila informazioni private. La donna è una stretta familiare di un noto giornalista calabrese. Attività non autorizzata che rientrava nei cosiddetti “Demo” o “volontari”, ovvero quella fase in cui Salvatore Ansani, ideatore, programmatore e realizzatore di “Exodus”, testava lo “spyware”, violando le norme relative alla privacy delle persone.

Come raccontato da un ex collaboratore di Esurv, Francesco Pompò, poi indagato anch’esso, Ansani dal suo pc aziendale ascoltava i file delle captazioni illecite, attraverso le cuffie o a volte tramite le casse del computer. Pompò inoltre ha spiegato che un giorno l’ingegnere era impegnato a vedere un rituale di purificazione del sangue eseguita da un uomo arabo.

Il coinvolgimento di Stm

Tutto questo è solo la punta dell’iceberg di “Exodus”, perché in 80 terabyte ci possono essere sia momenti di vita privata di comuni cittadini o segreti di Stato che potrebbero mettere a rischio il lavoro delle procure. In che modo? I magistrati, come si evince anche dalle motivazioni del Riesame di Napoli, che ha bocciato il ricorso di Stm per il dissequestro dei beni, sono convinti che la società di Pietrafitta abbia «violato dolosamente ed in frode alla pubblica amministrazione, le disposizioni contrattuali».

Le indagini avrebbero accertato che «i dati sensibili di carattere giudiziario afferenti le operazioni di intercettazione telematiche risultavano allocati in Oregon sul server cloud Amazon, in uso esclusivo della società Esurv Srl, anziché sul server collocato presso la procura, server quest’ultimo che privo sia di sistema operativo che di qualsiasi tipologia di dati, cifrati e nn, è risultato essere “un mero oggetto, privo di qualsiasi funzione”».

Per la procura di Napoli, ed è qui che l’inchiesta “Exodus” potrebbe raggiungere un livello inaspettato, «i dati captati erano fruibili anche da operatori non aventi titolo o non abilitati alla conoscenza di dati coperti da segreto investigativo, non essendo stata prevista l’adozione di cautele necessarie per impedire l’accesso». In questo passaggio, dunque, potrebbero celarsi altri “misteri” investigativi su cui il pool di polizia giudiziaria, composto da nuclei speciali dei carabinieri, polizia e guardia di finanza, sta lavorando per mettere insieme i pezzi di un puzzle, i cui indizi sarebbero presenti anche in altre indagini, già note all’opinione pubblica. (Antonio Alizzi)

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