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Gratteri tuona: «Gli ‘ndranghetisti di Cosenza non possono stare nel carcere di via Popilia»

Gratteri tuona: «Gli ‘ndranghetisti di Cosenza non possono stare nel carcere di via Popilia». Parla il procuratore capo della Dda di Catanzaro. E’ sempre la procura della Repubblica di Catanzaro il luogo delle conferenze stampa del procuratore capo della Dda, Nicola Gratteri che oggi ha illustrato i contenuti dell’ordinanza di custodia cautelare vergata dal gip

Gratteri tuona: «Gli ‘ndranghetisti di Cosenza non possono stare nel carcere di via Popilia»

Gratteri tuona: «Gli ‘ndranghetisti di Cosenza non possono stare nel carcere di via Popilia». Parla il procuratore capo della Dda di Catanzaro.

E’ sempre la procura della Repubblica di Catanzaro il luogo delle conferenze stampa del procuratore capo della Dda, Nicola Gratteri che oggi ha illustrato i contenuti dell’ordinanza di custodia cautelare vergata dal gip distrettuale Massimo Forciniti. Al suo fianco c’erano il tenente colonnello Piero Sutera, comandante dei carabinieri provinciali di Cosenza, il maggiore Michele Borrelli e il capitano del Nucleo Investigativo, Giuseppe Sacco

Il procuratore capo Gratteri ha ricordato come questa inchiesta fosse stata “dimenticata” in un cassetto del suo ufficio e che il pm Camillo Falvo ha avuto il merito di riprenderla, mettendo insieme i puzzle di un’indagine complessa. Un leit motiv che si ripete, quando nello stesso ufficio di Catanzaro, anni addietro, erano finite nel “dimenticatoio” le attività investigative del comune di Rende e, soprattutto, quelle del comune di Castrolibero. 

Gli arresti dei due agenti penitenziari, Luigi Frassinato (56 anni) e Giovanni Porco (53 anni) aprono una questione seria sulla gestione delle carceri. E purtroppo nel mirino finisce quello di Cosenza. Dove, a dire dei pentiti, ognuno faceva quel che voleva. C’è da chiedersi, quindi, dove erano i dirigenti della casa circondariale quando succedevano queste cose e perché parliamo di questa inchiesta, nei termini indicati nell’ordinanza cautelare, a distanza di diversi anni dai fatti contestati dai carabinieri. 

Parola a Gratteri

«Ritengo che questo lavoro potesse essere svolto tanti anni fa. Voglio ringraziare Falvo che ha fatto una ricostruzione storica in ordine alle dichiarazioni dei pentiti che da tanti anni ripetevano che il carcere di Cosenza era nelle mani della ‘ndrangheta e che all’interno di questa struttura si poteva fare di tutto e di più. Gli ‘ndranghetisti di Cosenza non possono stare nel carcere della città. Chi doveva controllare tutto ciò, cosa ha fatto in questi anni? I detenuti di Cosenza, come quelli di Vibo Valentia, Catanzaro e Crotone devono essere mandati in altre sedi circondariali, parliamo dell’abc». 

I carabinieri si sono avvalsi delle propalazioni dei collaboratori di giustizia, collegando ogni periodo di detenzione degli esponenti di spicco della criminalità cosentina, ai quali sarebbero stati fatti favori da parte degli agenti penitenziari implicati nell’indagine. Quindi, nessuna intercettazione o pedinamento. Solo carte bollate, parole da riscontrare e convergenze delle singole dichiarazioni di chi prima faceva parte del Crimine. 

I carabinieri in conferenza stampa

Piero Sutera ha spiegato che «i detenuti interferivano con le attività investigative in corso, cercando di intimidire chi aveva intenzione di collaborare». «Come nel caso di un imprenditore – ha aggiunto Borrelli – portato sotto il carcere per fargli restituire la somma di 100mila euro, prestata con tassi usurai». Così facendo, «le persone fuori dal carcere potevano essere “battezzati” da chi stava dentro» ha concluso il capitano Sacco. (a. a.)

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