Terremoto a Rende, la paura fa… quaranta
Quaranta anni dopo ritorna la paura. Era il 20 febbraio del 1980 quando a Rende la terra cominciò a tremare. Due scosse, a breve distanza l’una dall’altro, di intensità simile a quella che ieri ha portato scompiglio su entrambe le sponde del Campagnano. La prima toccò i 4,4 gradi della scala Richter. La seconda, poco
Quaranta anni dopo ritorna la paura. Era il 20 febbraio del 1980 quando a Rende la terra cominciò a tremare. Due scosse, a breve distanza l’una dall’altro, di intensità simile a quella che ieri ha portato scompiglio su entrambe le sponde del Campagnano. La prima toccò i 4,4 gradi della scala Richter. La seconda, poco dopo, fu solo un po’ più leggera: 4 gradi, il responso dei sismografi. Quattro decadi dopo, come se il tempo non fosse passato, il bis. Stesso periodo dell’anno (la fine di febbraio) e stessa intensità, con l’Ingv (Istituto nazionale di geologia e vulcanologia) a parlare di magnitudo 4.4 pochi minuti dopo il terremoto.
Due epoche differenti, come le reazioni
Le similitudini finiscono qui, ma altrettanto significative sono le differenze tra i due avvenimenti. Nel 1980 non esistevano internet e telefoni cellulari, le informazioni viaggiavano col passaparola e le possibilità di aggiornamenti in tempo reale erano sostianzalmente inesistenti. Nessuno poteva sfruttare le decine di app oggi a disposizione per conoscere epicentri e intensità dei sismi. E così da Cosenza i cittadini in preda al terrore scapparono proprio in direzione di Arcavacata e dintorni. Ossia verso l’epicentro del terremoto, il punto più pericoloso dove andare.
La città fantasma e gli accampati
Chi visse quei momenti ricorda il caos su via Roma, con le auto imbottigliate che per superare le code passavano sui marciapiedi. E, soprattutto l’incoscienza dei tantissimi che, pensando di trovare un rifugio sicuro il più in fretta possibile, imboccarono la sopraelevata per dirigersi verso l’altra sponda del Campagnano. La strada più rischiosa sembrava l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi. L’indomani mattina i primi a tornare verso Cosenza si ritrovarono davanti una città fantasma. E le campagne intorno a una via Popilia ancora lontana dall’attuale aspetto portavano i segni dei fuochi accesi da quelli che, temendo di tornare a casa, avevano preferito passare la notte accampati all’aperto.