domenica,Maggio 19 2024

Viaggio nei riti pasquali antichi a Cosenza e provincia

Dalle tradizioni arbereshe alle consuetudini che precedono il giorno della Resurrezione, una mappa minima di una Settimana di passione e culto

Viaggio nei riti pasquali antichi a Cosenza e provincia

Riti che risalgono a secoli fa, tradizioni che si mescolano ad abitudini e credenze popolari e creano una sorta di incanto che porta in dote elementi della cristianità con tracce di paganesimo. Tutto nei secoli si è stratificato creando un quadro di una suggestione unica. La Pasqua in provincia di Cosenza, in alcuni centri albanesi come San Demetrio Corone, Vaccarizzo Albanese, San Cosmo e San Giorgio, si esprime nel “rito dell’acqua muta”. A poche ore dalla mezzanotte, un gruppo di fedeli si avvia verso una fontana che si trova fuori dal centro, dopo essersi abbeverati, cantando “Cristo è risorto” rientrano nel borgo. A San Demetrio Corone arde, invece, il falò di Pasqua che allo scopo di incenerire i peccati.

Civita ci si immergerà nelle tradizioni con le Vallje, danze coreutiche in cui uomini e donne in abiti tipici arbëreshë, camminano per le strade del borgo intonando i tradizionali viersh, canti epici e d’amore. Il rito risale all’epoca delle gesta vittoriose del condottiero Giorgio Castriota Skanderbeg che piegò gli eserciti turchi mettendo in salvo Kruja nel lontano 1467.

Laino Borgo, va in scena la Giudaica, marcatore identitario, che vede coinvolto un intero paese.

Ogni due anni, viene rappresentato, in modo teatrale, il processo a Gesù, la sua crocifissione e infine la morte. L’ispirazione è un antico libro del 600 che viene fedelmente rispettato e che conta un totale di 19 scene per quasi 150 figuranti. È un evento che dura praticamente tutto l’anno, considerando le fasi preparatorie che coinvolgono tutta la comunità.

Cassano allo Ionio c’è la tradizionale processione delle Varette, un rito religioso che affonda le radici già nel XV secolo, durante il periodo della dominazione spagnola. In tutta la provincia di Cosenza, e nello specifico nell’Alto Ionio, si riproduce il “sepolcro” che viene ornato con i “lavurell” o “lavuredd” o “ghavurìlli”, cioè dei vasi di terra in cui sono sparsi semi che fioriscono velocemente: parliamo di semi di grano o ceci o lupini, tenuti al buio per 40 giorni per accelerarne la crescita. In alcune case vengono poi portati alcuni ciuffi d’erba perché considerati di buon auspicio.

Sempre in bilico tra le credenze popolari e la fede, l’usanza di “conservarsi” nei giorni precedenti alla Pasqua è piuttosto diffusa. In alcuni paesi del Savuto, al Venerdì Santo non si può pulire la casa né rifare il letto, vietato lavarsi i capelli e acconciarli e gli uomini non si sbarbano.

Anche a tavola bisogna mantenere un atteggiamento morigerato: un tozzo di pane per pranzo e un po’ d’acqua è il massimo della concessione, vietato il chiasso o la musica per tutto il giorno.

Questa astensione da abitudini quotidiane, si interrompe il Sabato Santo quando la gente viene richiamata alla normalità dal suono delle campane, è allora che il prete inizia a fare il giro delle case con l’acqua santa per benedire le abitazioni.

Ad annunciare l’arrivo del presule è il suono della “troccola” uno strumento fatto con maniglie metalliche e con il corpo in legno. A Trebisacce la Confraternita del Santissimo Crocefisso, scopre la croce e si prende cura della statua del Cristo Morto. A Cerchiara di Calabria, infine, un gallo viene esposto alla folla perché simbolo di forza, e successivamente i fedeli portano spalla la statua di San Giovanni Evangelista per il tradizionale corteo.

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