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Cane abbandonato a Roseto Capo Spulico, il fatto non è previsto dalla legge come reato

Ecco la sentenza della Cassazione che ha annullato senza rinvio la condanna precedentemente inflitta a un imputato di origine pugliese. La vicenda risale all'emergenza pandemica

Cane abbandonato a Roseto Capo Spulico, il fatto non è previsto dalla legge come reato

Circa un anno fa il tribunale di Castrovillari aveva condannato un 50enne pugliese per il reato di maltrattamenti di animali, per avere, quale proprietario di un cane meticcio, provvisto di microchip identificativo registrato all’anagrafe canina dell’Asl Bari- Servizio Veterinario Sanità Animale, abbandonato l’animale a Roseto Capo Spulico, uno dei comuni premiati con la Bandiera Blu. Il fatto, secondo la procura, era stato commesso l’11 luglio 2020.

Come si è difeso l’imputato

L’impugnato ha impugnato la sentenza, presentando ricorso in Cassazione. Secondo la difesa del 50enne pugliese, il giudice di Castrovillari ha violato la legge, le norme processuali e le norme relative alla valutazione della prova, in quanto ha affermato la responsabilità penale senza aver adeguatamente considerato le risultanze processuali, da cui emerge che l’imputato ha dichiarato che l’animale, detenuto in un comune della costa adriatica pugliese, era solito allontanarsi anche per più giorni.

L’imputato, attraverso il suo legale di fiducia, aveva evidenziato che il cane era stato catturato in Calabria, a distanza di quasi 200 km dal luogo ove veniva custodito e risiedeva il ricorrente. L’uomo infatti viveva all’epoca in Puglia e ha sempre dichiarato di non aver mai visitato Roseto Capo Spulico, dove l’animale è stato catturato. Inoltre, l’imputato pugliese aveva rappresentato che, una volta contattato dal canile locale ove l’animale era stato ricoverato, pur manifestando pieno interesse al recupero dell’animale, si è trovato nell’impossibilità materiale di effettuare il ritiro inizialmente a causa dei limiti imposti agli spostamenti da una Regione all’altra dalla normativa in tema di emergenza pandemica, e successivamente a causa delle gravi condizioni economiche nelle quali versava, dovute all’interruzione dell’attività lavorativa, che gli hanno impedito di ritirare il cane, previo saldo della retta.

Nessun dolo

Sotto questo profilo, l’imputato aveva posto in evidenza la carenza del dolo di abbandono di animali, non avendo mai manifestato la volontà di perdere il possesso dell’animale, avendo peraltro egli sempre nutrito un grande amore per gli animali, sottolineando di aver sempre posseduto numerosi cani che sono stati accuditi da egli stesso e dalla sua famiglia. Per la difesa quindi la condotta contestata non integrava la fattispecie penale di cui all’art. 727 cod. pen., in quanto, in base ai principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, l’affidamento del cane ad una struttura privata con obbligo di custodia esclude la condotta di abbandono dell’animale.

La condotta di abbandono non può essere integrata neppure dal mancato pagamento della retta al canile, condizione indispensabile per avere la riconsegna dell’animale da parte dei gestori del canile. In proposito, sempre l’imputato aveva dedotto che il Tribunale non ha adeguatamente considerato la situazione di oggettiva impossibilità dell’imputato di riprendere l’animale, a causa del blocco di mobilità tra giorni connesso all’emergenza pandemica e alle sue difficoltà economiche connesse alla perdita dell’attività lavorativa, che l’obbligavano a destinare le poche risorse economiche alla famiglia, piuttosto che al pagamento della retta del canile.

Il fatto non è previsto dalla legge come reato

La Corte di Cassazione, prendendo atto delle doglianze formulate dalla difesa dell’imputato, ha preso atto che il fatto non è previsto dalla legge come reato. Si specifica che l’art. 30, comma 1, lett. b)/ della legge n. 7 del 07/02/2020 della Regione Puglia, che prevede “Norme sul controllo del randagismo, anagrafe canina e protezione degli animali da affezione. Abrogazione della legge regionale 3 aprile 1995, n. 12 (Interventi per la tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo)”, punisce, con sanzione amministrativa da 150 a 450 euro, la condotta del detentore del cane che non denuncia la variazione di residenza, la cessione, lo smarrimento, la morte dell’animale. Trattasi, proprio ed esattamente, della condotta contestata per la quale l’imputato è stato condannato.

Omessa denuncia di smarrimento? No

Per la Cassazione, dalla motivazione della sentenza impugnata, si evince che l’affermazione della responsabilità è stata fondata sulla base di due specifici elementi fattuali: il rinvenimento del cane (dotato di microcip e quindi di proprietà del ricorrente) presso il lido Gabbiano nel Comune di Roseto Capo Spulico, in Calabria, e la mancata presentazione di una denuncia di smarrimento dell’animale. Per i giudici di legittimità risulta dall’apparato argomentativo che la condotta per la quale l’imputato è stato condannato è l’omessa denuncia di smarrimento, da presentarsi presso l’anagrafe canina della Regione Puglia, ove l’animale era custodito.

Tuttavia, «dal raffronto testuale tra le due norme citate si evince dunque inequivocabilmente come il disposto della norma regionale costituisce lex specialis. Infine, si sottolinea che erroneamente il giudice di merito ha anche evidenziato che l’imputato, allertato dai funzionari del canile che l’animale era stato catturato e collocato presso una struttura di ricovero in Calabria, non si era recato presso il suddetto canile per ritirare l’animale, manifestando così la volontà di non prendérsene più cura nonché indifferenza verso le sue sorti, non provvedendo neppure al pagamento della retta per il mantenimento dell’animale per quasi un anno dalla cattura.

Annullamento senza rinvio

Inoltre, la Cassazione ha precisato che »non integra il reato di cui all’art. 727 cod. pen. (maltrattamenti di animali), neppure sotto la forma dell’abbandono, la consegna di un cane presso le strutture comunali di ricovero per cani, atteso che gli animali ricoverati presso le strutture comunali non possono essere soppressi né destinati alla sperimentazione, e che agli stessi nell’attesa della cessione a privati vengono assicurate le necessarie prestazioni di cura e custodi. Deve pertanto escludersi la configurabilità del reato di abbandono di animali in caso di mancato ritiro di un cane dal canile municipale cui era stato in precedenza affidato dal proprietario».

Infine, conclude la Cassazione, «deve ritenersi che non rilevi neppure la condotta di omesso ritiro dell’animale, catturato nei pressi di Roseto Capo Spulico, nella Regione Calabria, e ricoverato presso un canile di Villapiana. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato».

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