venerdì,Marzo 29 2024

C’è Gigi Simoni in Tribuna numerata

La voce si sparse rapidamente e, in Tribuna A, stavamo tutti girati con lo sguardo all’insù. C’è Gigi Simoni in numerata, dicevano i beninformati, durante il riscaldamento delle squadre. Nonostante la sconfitta di Licata una settimana prima, il San Vito era pieno. Era la quintultima giornata del campionato 1988-89 di serie B. Nessuno immaginava quello

C’è Gigi Simoni in Tribuna numerata

La voce si sparse rapidamente e, in Tribuna A, stavamo tutti girati con lo sguardo all’insù. C’è Gigi Simoni in numerata, dicevano i beninformati, durante il riscaldamento delle squadre. Nonostante la sconfitta di Licata una settimana prima, il San Vito era pieno. Era la quintultima giornata del campionato 1988-89 di serie B. Nessuno immaginava quello che stava per succedere.

Mio padre mi prese sulle spalle e, le mani sugli occhi a pararmi il sole, cercai quello che tutti chiamavano “il Mago delle promozioni”. Ero combattuto. Per tanti motivi.

Il primo è che, sulla panchina del Cosenza, in quel momento c’era ancora Bruno Giorgi, il mio allenatore preferito di sempre. Da settimane si vociferava di un suo passaggio al Torino o alla Fiorentina (dove poi effettivamente andò). La presenza di Simoni in tribuna era la conferma indiretta che la società stesse già cercando un sostituto per la stagione successiva. E la cosa mi intristì parecchio.

Non c’era poi soltanto Giorgi in partenza. Società più blasonate bussavano ormai da tempo per un altro Simoni (Gigi pure lui, il portiere), Bergamini, Padovano e Urban. Un’altra rivelazione di quella squadra, Venturin, sarebbe tornato al Torino per fine prestito. In questo senso, l’arrivo di Simoni era una garanzia: il Magico Cosenza sarebbe stato smantellato, ma ricostruito. 

Il “Mago delle promozioni” aveva cinquant’anni e ne aveva conquistato già cinque (tutte in serie A: due con Genoa e Pisa, una col Brescia). Era considerato uno dei massimi specialisti in quella disciplina nella quale ci stavamo sorprendentemente cimentando in quella stagione.

La partita in cui Simoni comparve al San Vito era Cosenza-Padova. Vincemmo 2-0 e fu la prima di quattro vittorie (più un pareggio) che portarono i rossoblù al quarto posto a pari merito con Cremonese e Reggina (che, per la classifica avulsa, giocarono poi lo spareggio).

Ci volle il 1° luglio per la presentazione ufficiale, ma nel frattempo avevamo avuto una prova di quella “garanzia” di cui sopra. E cioè i primi acquisti: il portiere Nicola Di Leo; un fantasista scuola Napoli, che due anni prima aveva trascinato la Lazio in serie A, Ciro Muro; e, soprattutto, il ritorno di Gigi Marulla. E proprio l’idea che il Tamburino di Stilo avrebbe fatto coppia in attacco con Padovano, rimasto in rossoblù nonostante la corte delle grandi squadre, con Muro a giostrare alle spalle, eccitava la fantasia dei tifosi. E poi tanti giovani – su tutti, Angelo Aimo.

Invece quella stagione ce la ricordiamo, per due motivi. Soprattutto il primo: la morte di Donato Bergamini. Fu Gigi Simoni a ricevere la notizia da Roseto Capo Spulico e lui a trasmetterla alla squadra, mentre la disperazione faceva alzare grida e volare sedie nella sala ristorante del Motel Agip. Fu sempre lui a convincere Michele Padovano a giocare l’indomani contro il Messina. Con la maglia numero 8. E a segnare, sotto la curva che ancora oggi porta il nome di Denis.

Il secondo motivo, e cioè la salvezza all’ultima giornata con un pari telefonatissimo a Trieste con Gianni Di Marzio in panchina, fu quasi la logica conseguenza di un campionato disastroso. Simoni era stato infatti esonerato dopo quindici giornate, al termine di una delle peggiori sconfitte casalinghe (1-4 col Pisa). Di quel Cosenza si ricordano la divisa forse più bella di sempre, quella che io chiamo blaugrana, perché il rosso e il blù somigliavano proprio ai colori del Barça, con i calzettoni bianchi. E una squadra che spesso andava in vantaggio (col Padova alla prima, con la Reggiana al debutto casalingo), ma non riusciva a conservarlo. Oppure senza carattere, come negli spenti 0-0 dei due derby con Reggina e Catanzaro. Spompata e carente di preparazione atletica, come denunciò Di Marzio poche domeniche dopo essergli subentrato.

Più volte si affacciarono dubbi sull’impegno e l’agonismo di alcuni calciatori (dubbi che aveva lo stesso Bergamini, come ha raccontato il padre Domizio). E molti concordarono sul fatto che Simoni fosse troppo “signore” per riuscire a governare dinamiche simili. Cosenza rischiò così per lui di essere il turning point precoce di una carriera fino ad allora fulminante. Si trattava del secondo esonero in due anni, dopo quello di Empoli. Improvvisamente il “Mago delle promozioni” sparì dai radar delle grandi squadre e si trovò costretto a ripartire da zero. Ma lo fece alla grande.

Lo chiamarono alla Carrarese, che riportò in C1, e poi alla Cremonese, dove aprì un incredibile ciclo di quattro anni, con un Torneo Anglo Italiano e la promozione in A. Ovviamente, a spese nostre. Il 9 maggio del 1993, infatti, Simoni portò i grigiorossi a conquistare al San Vito una vittoria fondamentale. Per il Cosenza era la prima di due gare casalinghe consecutive su cui tutti riponevamo grandi speranze, perché con due vittorie saremmo balzati al terzo posto solitario. E invece tra l’esperienza di Simoni, al quale sarebbe andato bene anche un pari, e la determinazione di Fausto Silipo, che pretendeva dai suoi la ricerca della vittoria in ogni partita, vinse la prima, grazie a una sfortunata autorete di Ciccio Marino.

La stagione a Napoli, che portò fino alla finale di Coppa Italia (prima di un nuovo esonero), e quelle all’Inter ad allenare il più grande calciatore di sempre (Ronaldo, quello vero) e vincere la Coppa Uefa sono note a tutti, ma vanno ricordate soprattutto per fissare un fatto. Non è stato un innovatore dal punto di vista tattico, Gigi Simoni, ma rimane uno degli allenatori italiani più importanti di sempre. Uno che l’ultima promozione in A è riuscito a ottenerla a 65 anni con l’Ancona. Uno che davanti a uno dei torti calcistici più evidenti di sempre (il rigore di Iuliano in Juventus-Inter) si rivolse all’arbitro con una frase talmente fuori dal tempo (“Si vergogni!”) da risultare ancora oggi come il peggior insulto possibile.

Gigi Simoni l’ho incontrato una volta sola in vita mia. Era a Firenze per una conferenza in Regione, io non lo sapevo e passavo di là per lavoro. Ci ritrovammo in ascensore e, dopo un paio di battute, finimmo a parlare della sua esperienza a Cosenza. Non ho incontrato moltissimi allenatori in vita mia, ma quasi tutti quelli che ho conosciuto portano con sé una certezza: qualunque insuccesso non è stato colpa loro. Se la prendono piuttosto con un arbitraggio, un calciatore infido che gli ha rovinato il gruppo, una partita sciagurata, il pubblico immaturo o “le cavallette” per dirla alla John Belushi.

La prima cosa che fece Simoni, invece, fu abbassare gli occhi, come se gli avessi ricordato una malefatta di cui si sentisse responsabile. Poi sorrise e disse solo: “Non andò benissimo, vero?”. E io mi sentii disarmato, quando invece l’idea che il Cosenza fosse stata una delle poche squadre che il “Mago delle promozioni” non fosse riuscito a portare in A mi aveva sempre fatto incazzare.

Gigi Simoni era malato da tempo e la sua scomparsa, oggi, mette fine a un lunghissimo calvario iniziato con un ictus undici mesi fa nella sua casa di San Piero a Grado.

Il giorno in cui comparve per la prima volta al San Vito, in numerata, prima del fischio d’inizio di quel Cosenza-Ancona mentii spudoratamente. Eccolo! L’ho visto!, strillai, e tutti attorno a me convennero sul fatto che avessi ragione. Invece, poi, Gigi Simoni l’ho visto. E l’ho visto come credo fosse veramente. Perché in quel suo non andò benissimo ritrovo ancora quell’autoironia amara che solo i signori, nel calcio e fuori, sono davvero in grado di provare.

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