lunedì,Maggio 13 2024

Petrini, il caso Ioele e la sentenza della Corte di Cassazione

Petrini ritratta sui magistrati, ma accusa gli avvocati. Come nel caso di Marcello Manna, legato alla vicenda dell'imprenditore Antonio Ioele.

Petrini, il caso Ioele e la sentenza della Corte di Cassazione

Marco Petrini è un personaggio controverso. Da millantatore a corrotto il passo è breve. In alcuni casi, com’egli stesso ha dichiarato più volte, ritrattando poi in altri verbali, faceva intendere alle controparti che avrebbe preso in carico il caso giudiziario, disponendo un esito favorevole in cambio di somme di denaro. Ma, sulla base della conoscenza attuale degli atti, Marco Petrini ha chiarito di non aver fatto nulla per favorire, ad esempio, Pino Tursi Prato e Vincenzo Arcuri. Come ha specificato di aver mentito quando parlava di Enzo Sculco e dell’ex procuratore capo di Crotone, Francesco Tricoli. (LEGGI QUI L’APPROFONDIMENTO)

Stessa cosa dicasi per i colleghi magistrati: dalla Corte d’Appello di Catanzaro al tribunale del Riesame. Fa i nomi, racconta fatti, ma poi ritratta. Quando si tratta di giudici, insomma, tutto ciò che dice è da prendere con le pinze e toccherà alla Dda di Salerno capire se è vero o se Petrini sta utilizzando una strategia per coprire un “sistema massonico”, che in prima battuta aveva coinvolto nelle sue dichiarazioni.

Il caso Ioele e la proposta di Petrini

Non torna indietro, ma rincara la dose, invece, quando si tratta di accusare il mondo dell’avvocatura. In uno degli ultimi atti, emergono fatti riguardanti l’avvocato Marcello Manna, sindaco di Rende. A dire del magistrato, sospeso del Csm, il noto penalista di Cosenza, componente della Giunta dell’Unione delle Camere Penali italiane, avrebbe consegnato una mazzetta da 2.500 euro per favorire l’imprenditore Antonio Ioele, arrestato e condannato per bancarotta fraudolenta, a seguito di un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza di Cosenza e coordinata dalla procura di Cosenza.

La proposta corruttiva, secondo quanto dichiara Petrini, sarebbe partita da egli stesso, quando Marcello Manna entra nella sua stanza per discutere di alcune udienze già fissate in Corte d’Appello di Catanzaro. Un incontro, tuttavia, immortalato dalle telecamere installate dalla Guardia di Finanza di Crotone. «A questi – riferendosi a Marcello Manna – fui io che proposi di darmi una somma di denaro. Il fatto avvenne a fine 2018-2019 allorquando» afferma Petrini nell’interrogatorio del 17 aprile scorso, «come presidente della Sezione Misure di Prevenzione della Corte d’Appello, mi trovavo a trattare un procedimento che riguardava tale Antonio Ioele+terzi interessati», vale a dire i figli dell’imprenditore. (I REGALI RICEVUTI DA MARCO PETRINI)

Chi è Antonio Ioele

«Si trattava di un soggetto già condannato per bancarotta, nei confronti del quale era stata avanzata una proposta di misura di prevenzione patrimoniale che si era conclusa con la confisca di alcuni beni in primo grado» aggiunge Marco Petrini. «In occasione della trattazione dell’appello, Manna venne a parlarmi rappresentandomi che la questione era molto delicata e sollecitando la mia attenzione. Io gli risposi che sarei stato disponibile ad accogliere l’appello dietro versamento di una somma di denaro. Manna non ebbe reazioni particolari alla mia proposta e si dichiarò disposto ad accontentarmi. Nella circostanza egli dichiarò che avrebbe potuto versarmi la somma di 2.500 euro» rispetto a un patrimonio dell’imputato stimato in oltre 10 milioni di euro.

«Ero il relatore, Cosentino e Commodaro non sapevano nulla»

La Dda di Salerno intendeva sapere se Manna fosse aduso a condotte del genere, «anche perché nulla escludeva che egli, a fronte della mia proposta, potesse uscire ed andare alla più vicina stazione dei carabinieri per denunziarmi». Così Petrini chiarisce che «non avevo notizia del fatto che in precedenza Manna avesse mai versato somme di denaro ai giudici per ottenere provvedimenti di favore e che semplicemente “ci provai”, sperando che le cose andassero bene. Fatto è che, di fronte a tale mia proposta, egli disse che avrebbe potuto darmi 2.500 euro e che non ebbe necessità, a tal fine, di consultarsi con il suo assistito. Il collegio giudicante era composto, nella circostanza, dai colleghi Cosentino e Commodaro. Ero io il relatore della procedura. Non rappresentai ai componenti del collegio la proposta corruttiva che mi era stata fatta. Io ero il relatore e, tra l’altro, nel caso di specie, c’era un principio di diritto che avremmo potuto applicare. Durante la camera di consiglio non mi furono sollevate obiezioni e l’appello fu così accolto»

La sentenza della Cassazione che smentisce Petrini

Quel principio di diritto menzionato da Petrini, purtroppo per lui, la Corte di Cassazione non lo ha minimamente preso in considerazione, visto che il 18 febbraio scorso, la prima sezione penale (presidente Stefano Aprile e relatore Francesco Centofanti) ha annullato la revoca della confisca, disponendo un nuovo esame dinanzi ad una sezione della Corte d’Appello di Catanzaro. Per gli ermellini infatti «il decreto, in punto di perimetrazione cronologica della pericolosità sociale, appare meramente enunciativo. Esso omette, in particolare, di analizzare le risultanze del procedimento penale per bancarotta fraudolenta, onde ancorare ad elementi affidabile, ed esternamente verificabili, l’esatta collocazione temporale delle condotte distrattive iniziali. Insoddisfacente natura assertiva, sostanzialmente elusiva del dovere di effettiva motivazione, rivestono anche le valutazioni, difformi da quelle di primo grado, in punto di negata sproporzione».

«In modo inammissibilmente generico il decreto impugnato si discosta dagli analitici accertamenti svolti dalla polizia tribunati sulla consistenza dei redditi e della situazione patrimoniale del proposto. Esso, per contro, recepisce in modo acritico le confutazioni difensive, senza però accompagnare tale esito dalle benché minime indicazioni numeriche e senza alcuna validazione peritale. Nella superficiale ricostruzione dei flussi finanziari che giustificherebbero gli acquisti, il giudice distrettuale neppure esclude, con chiarezza, i redditi, anche esteri, provento delle condotte illecite in cui si è manifestata la pericolosità sociale, tra cui l’evasione fiscale, non svolgendo alcuna serie valutazione in proposito».

Per questo motivo, accogliendo il ricorso presentato dal procuratore generale di Catanzaro, «il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla medesima corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, per nuovo esame». 

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