La confessione shock di Marco Petrini: «Sono corrotto da quasi 10 anni»
Il 17 aprile scorso, Marco Petrini ritratta le accuse contro due colleghi della Corte d'Appello di Catanzaro e chiarisce tante altre cose.
Marco Petrini, giudice sospeso dal Csm il 31 gennaio 2020, è un corrotto da quasi dieci anni. Egli stesso lo ammette ai magistrati dalla Dda di Salerno, allorquando lo scorso 17 aprile ritratta alcune dichiarazioni rese contro due colleghi della Corte d’Appello di Catanzaro, che formavano con lui il collegio giudicante della seconda sezione penale.
Il magistrato di Foligno, infatti, ha fatto indispettire – per usare un eufemismo – i magistrati della procura antimafia di Salerno, coordinata dal procuratore capo Giuseppe Borrelli, che di Catanzaro conosce tutto, avendoci lavorato per cinque anni da procuratore aggiunto della Dda. Così Marco Petrini è finito di nuovo in carcere (LEGGI QUI L’APPROFONDIMENTO), con l’accusa di aver inquinato le prove, dopo una telefonata intercorsa con la moglie, Stefania Gambardella (LEGGI QUI). Di recente, però, il Riesame di Salerno lo ha mandato di nuovo ai domiciliari, ritenendo che l’aggravamento della misura cautelare non fosse idonea rispetto ai fatti contestati all’ex presidente della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro.
Petrini ritratta le accuse contro due magistrati della Corte d’Appello di Catanzaro
La Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno, infatti, ritiene che Petrini abbia ritrattato le accuse ai colleghi giudici, intorbidendo le acque. In effetti, le dichiarazioni rese nel mese di maggio al procuratore facente funzioni Luca Masini e al pm Vincenzo Senatore, erano circostanziate e precise sui ruoli avuti dai magistrati coinvolti in altri presunti accordi corruttivi per accogliere una ricusazione che, a dire dello stesso Marco Petrini, non aveva alcun fondamento giuridico. D’altronde, rispondendo a una domanda degli inquirenti, che gli avevano chiesto come sapeva che uno dei suoi colleghi avrebbe accettato somme di denaro illecito, Petrini aveva risposto che era a conoscenza delle condotte illegali del suo collega.
Nell’interrogatorio del 17 aprile 2020, svoltosi da remoto, le accuse sono diventate quasi carta straccia, sconfessando tutto ciò che era stato dichiarato qualche mese prima, inerente anche alla partecipazione ad una loggia massonica “coperta”, di cui avrebbero fatto parte diversi magistrati del Distretto Giudiziario di Catanzaro. Le motivazioni edotte da Petrini risiedevano in uno stato di profonda prostazione, a cui i pm di Salerno non hanno minimamente creduto. Tant’è che i verbali sono agli atti dell’inchiesta. E non si esclude che la Dda di Salerno possa andare avanti per la sua strada, cercando altri elementi a carico dei magistrati tirati in ballo da Marco Petrini.
Quando Marco Petrini iniziò a commettere reati
Al netto delle accuse ritrattate, Marco Petrini spiega meglio i motivi per i quali aveva deciso di diventare un corrotto. Problemi legati alla separazione, che gli costava 3mila e 300 euro al mese, oltre ad una vita agiata (viaggi all’estero e vacanza in Costiera Amalfitana), senza dimenticare i costi relativi a un problema di salute avuto da uno dei suoi familiari. Tutto ciò non giustifica affatto i suoi comportamenti squallidi, da rappresentante della Giustizia.
La scintilla scatta tra il 2008 e il 2010, quando Marco Petrini conosce per la prima volta l’ex dirigente medico dell’Asp di Cosenza, Emilio Mario Santoro. Glielo presentò, afferma Petrini, un ex giudice del tribunale di Cosenza. «Santoro venne a casa di mia madre a Castrovillari e si limitò a chiedermi la disponibilità ad indirizzare un processo in cambio di somme di denaro. Io gli risposi che avrei visto cosa si poteva fare». Parliamo, dice Petrini, «del 2010 o forse 2012». E aggiunge: «Si trattava, in particolare, di una causa civile che Vincenzo Arcuri», amico di Santoro, «aveva con un ente pubblico, forse un Comune o un Consorzio di Bonifica. Egli non riusciva ad ottenere somme alle quali riteneva di avere diritto e mi chiese di interessarmi, affinché potesse riceverle, con il giudice davanti al quale pendeva la causa. Non ricordo esattamente se in quella circostanza Arcuri fosse anch’egli presente. Posso dire però, con certezza, che fino a quel momento non avevo mai avuto occasione di conoscerlo e che invece ho avuto la possibilità di incontrarlo in epoca successiva».
«Non mi occupai della vicenda di Arcuri»
Marco Petrini inoltre chiarisce: «Che io ricordi Santoro, in precedenza, non mi aveva mai chiesto di condizionare, direttamente o indirettamente, l’esito di qualche processo, sia pure senza prospettarmi corrispettivi di alcun genere. Devo dire che peraltro egli era un tipo molto diretto che, se aveva qualcosa da dire, non adoperava giri di parole. Egli rappresentava gli interessi di un gruppo di persone che, all’epoca della prima proposta correttiva, non mi erano ancora note e che poi, successivamente, ho capito individuarsi nello stesso Vincenzo Arcuri, Pino Tursi Prato, avvocato Francesco Saraco e dottore (commercialista) Claudio Schiavone».
Della vicenda che riguardava Arcuri, per la quale il magistrato aveva ricevuto due assegni da 5mila euro consegnategli da Santoro, «posso dire con assoluta certezza – evidenzia Petrini – che mi disinteressai completamente dell’ulteriore sviluppo del processo e che non andai a parlare con nessun magistrato. Addirittura, posso escludere di aver preso cognizione dello stesso esito del procedimento civile e tutt’ora non so come finì».