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Caso Bergamini, parla il testimone che rischiò di investirlo prima di Pisano

Sentito in aula insieme a un altro automobilista che il 18 novembre del 1989 passava da Roseto e vide una Golf bianca schivare il calciatore del Cosenza

Caso Bergamini, parla il testimone che rischiò di investirlo prima di Pisano

Il pomeriggio del 18 novembre 1989 Donato Bergamini si muoveva pericolosamente sull’asfalto della Ss 106, nei pressi della piazzola di sosta dove alle 19 e 11 minuti sarà poi investito dal camion di Raffaele Pisano. A certificare questa condotta insolita dell’allora calciatore del Cosenza, sono due testimoni, entrambi di passaggio quella sera da Roseto Capo Spulico alla guida dei rispettivi veicoli e  convocati oggi sulla scena del processo contro Isabella Internò.

Dei due Rocco Napoli è quello più rodato, visto che già pochi giorni dopo i fatti si presenta spontaneamente dai carabinieri per raccontare ciò che ha visto. Nel corso degli anni lo ripeterà per cinque volte a carabinieri e magistrati, quella di ieri è stata la sesta.  Quel giorno è a bordo del suo camion con moglie, cognata e nipotino al seguito e percorre quella strada diretto dai suoceri a Montegiordano, quando avvista la Maserati bianca ferma nell’area sterrata. «C’era una donna all’interno, e fuori dall’auto ho visto questo ragazzo che si dirigeva a piedi verso il ciglio stradale. Appena sono arrivato in prossimità ho dovuto sterzare in modo brusco per evitarlo. E poi ho detto ad alta voce: ma guarda questo, ma vuole farsi ammazzare?».

Qualche ora più tardi – «la sera stessa o la mattina seguente» – una volta appresa la notizia della tragedia, si reca da sua cugina Anna Napoli, all’epoca giovane avvocato, e le racconta tutto. «È stata lei a spingermi ad andare dai carabinieri» ha ricordato il testimone, confermando un particolare già noto. Cinque volte, dicevamo, con quella di oggi sei. Interrogatori su interrogatori non sempre coincidenti in alcuni dettagli. Il pm Luca Primicerio li ha sviscerati tutti, nessuno escluso. Bergamini era «sulla strada» o si dirigeva «verso la strada?». E ancora, l’avvistamento del pedone è stato «mentre affrontava la semicurva» o «dopo aver superato il dosso?». Le domande erano grossomodo di questo tenore.

Ma allora «voleva buttarsi sotto al camion?» o – come da lui riferito in precedenza – non aveva l’atteggiamento «di chi volesse buttarsi?». Dal canto suo, Napoli ha ribadito una sua convinzione: che se non avesse operato quella manovra brusca, avrebbe certamente investito Bergamini. Pubblico ministero e parte civile lo hanno tenuto sotto torchio per ore, e il primo ha anche prodotto il suo casellario penale dal quale risulta una condanna a otto anni per associazione finalizzata al narcotraffico. Fatti che risalgono al 2008, ma prima d’allora «è sempre stato un bravo ragazzo che commerciava in frutta e verdura» hanno assicurato la cugina e l’ormai ex moglie, intervenute successivamente.

Era davvero Bergamini l’uomo che rischiò di investire quel 18 novembre? Alcune domande del pm sembravano voler incrinare anche questa certezza, e Primicerio le ha formulate, ancora una volta, facendo le pulci ai verbali riassuntivi delle sue dichiarazioni, dalle quali a suo avviso, in conclusione, emergono diversi «contrasti». Napoli ha aggiunto anche un particolare inedito, mai riferito prima, relativo allo sguardo di Bergamini che incrociò per una frazione di secondo. «Era come se fosse assente, guardava fisso davanti a sé». E tra una contestazione e l’altra ha aggiunto: «Come se non gli importasse». L’accusa puntava ad adombrarne la credibilità, ma un po’ come per Pisano prima di lui, non si capisce il motivo per cui il suo passaggio da Roseto, quella sera, non debba essere ritenuto del tutto casuale.

Prima di lui, a prendersi la scena era stato Berardino Rinaldi, rappresentante di utensili da cucina, anche lui in transito sulla 106 quel pomeriggio, diretto a casa di un cliente per una dimostrazione. «Appena ho fatto la semicurva ho visto una Golf bianca che stava per venirmi addosso dopo aver invaso la mia corsia. Aveva appena schivato un uomo che stava al centro della strada e agitava le braccia, come se volesse fermare i veicoli». In seguito dirà anche: «Come se cercasse aiuto».

È lui l’altro testimone che descrive il contegno quantomeno anomalo tenuto quel giorno dal calciatore. In quel caso, si trattava senza alcun dubbio di Bergamini perché Rinaldi sostiene di averlo poi affiancato e superato, lasciandolo lì in mezzo alla strada. Dal suo racconto, però, sparisce la Maserati bianca e spunta l’auto nera già evocata da Francesco Forte. A suo dire, infatti, sulla piazzola c’era un veicolo di cui non ricorda il colore, «ma certamente scuro e non bianco», con la solita sagoma femminile nell’abitacolo. Che fine aveva fatto la Maserati? Impossibile che si fosse volatilizzata.

Originale è anche l’orario dell’avvistamento: «Tra le 15 e le 16.30, perché il mio appuntamento era alle 17» ha affermato il testimone. Sappiamo però che alle 16 il calciatore è ancora a Rende, che mezz’ora più tardi va a prendere Isabella a casa, che intorno alle 17.30 i carabinieri lo fermano per un controllo a Roseto, a quattro chilometri dal luogo che di lì a poco diventerà poi la sua tomba. Rinaldi, dunque, non può che averlo avvistato dopo quell’orario. Perché si è appreso della sua esistenza solo nel 2017? «In realtà negli anni precedenti ho cercato di contattare il papà di Bergamini – Domizio, ndr – per dirgli ciò che sapevo. E cioè che secondo me non era stato un suicidio, bensì una disgrazia». La Corte ha poi acquisito una chat privata fra i suoi figli e Donata Bergamini risalente alla fine del 2014. Prossima udienza il 12 gennaio.

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