giovedì,Maggio 16 2024

‘Ndrangheta a Cosenza, al processo “Reset” si parla di usura e gaming

In aula un investigatore della guardia di finanza che durante le indagini si è occupato di intercettazioni e accertamenti patrimoniali

‘Ndrangheta a Cosenza, al processo “Reset” si parla di usura e gaming

La presunta attività usuraia di Carlo e Giovanni Drago è il tema che ha aperto l’udienza del maxiprocesso “Reset” di scena oggi nell’aula bunker di Lamezia. Sul banco dei testimoni è salito un maresciallo della Guardia di finanza che tra il 2017 e il 2019 si è occupato di intercettazioni e altre attività d’indagine. “Caffè” e “Partite di calcetto” sono a suo avviso i termini criptici utilizzati con le vittime per parlare dei soldi che, di volta in volta, Carlo avrebbe dovuto incassare da loro. E a riscuoterli, secondo la Dda, era suo figlio Giovanni. «Emerge dalle intercettazioni» ha affermato il testimone.

Il pm Corrado Cubellotti gli chiede se, fra gli accertamenti svolti, vi sia anche quello di individuare i luoghi in cui sono avvenute le consegne di denaro. Il finanziere ne snocciola alcuni: un bar, lo slargo antistante una banca, un negozio di animali, sotto casa del debitore di turno. Una di queste vicende segna il coinvolgimento di Remo Prete, dipendente di una delle vittime. L’ipotesi è che abbia fatto da mediatore fra quest’ultima e Drago. Gli indizi contro di lui si rifanno sempre alle intercettazioni. «Aveva il compito di informare Drago della presenza della vittima sul posto di lavoro in prossimità della scadenza della rata. Drago si lamentava del fatto che troppe volte Prete gli diceva che non c’era mai». I Drago sono ritenuti interni alla confederazione criminale cosentina di cui il processo mira a dimostrare l’esistenza. Sospetti rispetto ai quali il più anziano dei due non è nuovo. Ora però anche suo figlio è messo dagli investigatori in collegamento con Roberto Porcaro e Francesco Patitucci.

Il discorso si è poi spostato sul gaming, ovvero la gestione di sale scommesse e slot machine che, “secondo i collaboratori” è attività che interessa la criminalità organizzata. Tutto parte, come al solito, da un’intercettazione in cui si parla di macchinette munite di due schede. «La scheda bianca registrava il giro di denaro poi regolarmente denunciato al ministero. La scheda nera, invece, i soldi che non venivano denunciati». Da lì s’ipotizza che un po’ tutte le apparecchiature in oggetto fossero truccate, anche se in realtà i controlli sono stati eseguiti solo uno stock di dispositivi oggetto di sequestro. Non a caso, si tratta di uno dei capi d’imputazione che, dopo gli arresti del primo settembre 2022, non ha retto in sede di giudizio cautelare, determinando la scarcerazione di tutti gli indagati. Il testimone ha ripercorso gli indizi raccolti a carico di uno dei gruppi alla sbarra, alla cui guida si ritiene vi fosse Daniele Chiaradia.

I dati che lo riguardano sono anzitutto di contesto: un suo vecchio fidanzamento con una ragazza della famiglia Forastefano, le dichiarazioni di collaboratori che lo vogliono in collegamento «con Mario Piromallo». Il gruppo secondo il finanziere, aveva un altro elemento di vertice «in Silvio Orlando». Anche in questo caso, fanno fede per lui una serie di intercettazioni di cui ha elencato in aula i Rit associati. «Abbiamo ricostruito sia i rapporti interni al gruppo che quelli con altri gruppi» fra cui quello dei fratelli Reda. «Con Carlo Drago parlavano dei luoghi in cui installare le macchinette. Diverso era invece il rapporto con Andrea Reda. C’erano state delle tensioni e i contatti erano finalizzati a non creare altri problemi fra loro». Per quanto riguarda l’ex ispettore di polizia Silvio Orlando, «si occupava direttamente della gestione di una sala scommesse. Ci sono intercettazioni in cui dà disposizioni specifiche di portare a lui le somme derivanti dagli incassi». Orlando, inoltre, si sarebbe interessato in prima persona delle attività ogni qual volta le stesse erano oggetto di controlli amministrativi delle forze dell’ordine.

La ricognizione investigativa si è concentrata poi su Andrea Reda, anche lui attivo nella gestione delle sale giochi anche nella città di Roma. Sul suo conto, ci sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Nicola Femia, che parla di un collegamento tra lui e Salvatore Piccolo, esponente delle cosche crotonesi e «con altri soggetti gravati da precedenti per manomissione di apparecchiature da gioco». Nessun contatto da parte sua con esponenti della criminalità organizzata né con persone inserite negli altri gruppi di gaming.

E poi il gruppo Carelli. “Mentre gli altri sono dislocati fra Cosenza e Rende, quest’ultimo opera sullo Jonio cosentino. Sono stati documentati rapporti tra Damiano Carelli e Daniele Chiaradia inerenti l’espansione delle rispettive attività…». A bloccarlo è stato l’avvocato Enzo Belvedere: «Sta dicendo una cosa falsa, abnorme». Un assaggio del controesame in programma da lì a breve. Prima, però, si è parlato di Mario Gervasi, gravato dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Il maresciallo ha elencato le fonti di prova a suo carico fra cui le solite intercettazioni e le dichiarazioni dei collaboratori giustizia: da Silvio Gioia a Mattia Pulicanò passando per Pierluigi Terrazzano.

I lavori sono stati sospesi per circa mezz’ora a causa di un black out e poco dopo la parola è passata ai difensori che, a turno, hanno controesaminato il testimone. A rompere il ghiaccio è l’avvocato Pietro Mancuso che chiede conto degli accertamenti eseguiti in materia di gaming. In molti casi, non si va oltre il compendio intercettivo con le dichiarazioni dei pentiti in aggiunta.

L’avvocato Mario Ossequio punta le confessioni di Femia che si riferiscono a fatti antecedenti al 2013 e quelle di Calabrese Violetta che si fermano all’anno successivo. I fatti oggetto di trattazione in “Reset“, invece, partono dal 2017. «Abbiamo attualizzato le loro dichiarazioni» ha risposto il testimone. Riguardo ai contatti con altri gruppi di gaming, Renda ne avrebbe avuto solo con quello di Drago. «Nulla di specifico però» ammette il finanziere. Dal controesame è emerso inoltre che tutte le ditte in questione erano in possesso di regolari autorizzazioni ministeriali. In provincia di Cosenza sono circa cinquanta le società che si occupano di gaming. «Più della metà dei soggetti che operano nel settore sono state monitorate». Riguardo ad Andrea Reda, Femia parla di “rapporti illeciti” tra lui e altri soggetti e Ossequio chiede quali riscontri siano stati trovati al riguardo. «Non sono stati eseguiti accertamenti» è la risposta del finanziere.

L’avvocato Enzo Nobile ha chiesto conto al testimone di una sua precedente affermazione: «La spartizione del territorio fra Damiano Carelli e Francesco Morabito». Si parla dell’apertura di punti gioco. La risposta: «Non c’era un divisione netta. È Carelli che, in un’intercettazione, parla della sua espansione sul territorio». Anche lui ha insistito sull’assenza di verifiche eseguite materialmente sulle macchinette e ha chiesto se fossero stati eseguiti accertamenti su eventuali flussi anomali di giocate. Nulla di tutto questo. I lavori riprenderanno martedì 16 gennaio per consentire agli altri avvocati di controesaminare il testimone (clicca su avanti per leggere i nomi degli imputati)

Articoli correlati