venerdì,Marzo 29 2024

Tentato omicidio di Diamante, la Cassazione dà ragione alla procura di Paola

Diventa esecutiva la misura cautelare degli arresti domiciliari di Mattia De Rose come deciso mesi addietro dal tribunale del Riesame di Catanzaro in sede di Appello. La Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Mattia De Rose, sospettato di tentato omicidio, al quale il Tribunale del Riesame di Catanzaro in sede di

Tentato omicidio di Diamante, la Cassazione dà ragione alla procura di Paola

Diventa esecutiva la misura cautelare degli arresti domiciliari di Mattia De Rose come deciso mesi addietro dal tribunale del Riesame di Catanzaro in sede di Appello.

La Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Mattia De Rose, sospettato di tentato omicidio, al quale il Tribunale del Riesame di Catanzaro in sede di Appello aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari. Domiciliari esecutivi quindi un attimo dopo il provvedimento degli ermellini. La vicenda in questione riguarda il ferimento con colpi di arma da fuoco di un ragazzo di San Lucido che sarebbe stato sparato al termine di una discussione alla quale avrebbero partecipato sia De Rose sia Alberto Novello, già ai domiciliari da diverso tempo. Il caso giudiziario, però, ha vissuto una fase molto particolare, visto che per ben due volte la procura di Paola aveva emesso un decreto di fermo nei confronti dei due giovani indagati, i quali erano stati scarcerati il giorno successivo dai rispettivi gip di competenza, Paola e Cosenza, per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza. La seconda richiesta d’arresto era arrivata dopo l’incidente probatorio avanzato dal pm Fasano, titolare delle indagini. Il Riesame in sede di Appello riteneva che De Rose fosse il presunto mandante o presunto istigatore del tentato omicidio o quantomeno un concorrente morale dell’avvenimento criminoso. Sulla scorta degli atti raccolti dall’ufficio inquirente di Paola, il Tdl scriveva che a sparare fosse stato Novello, mentre De Rose era consapevole – affermavano i giudici – che l’amico avesse un’arma chiamandolo nell’antibagno per risolvere la faccenda. L’indagato è difeso dall’avvocato Cristian Cristiano. (a. a.)

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