giovedì,Marzo 28 2024

Cosenza, ecco perché non regge la “confederazione” tra i clan di ‘ndrangheta

Secondo il tribunale di Catanzaro non può essere valutata l'unione tra la cosca "Lanzino" e quella degli "zingari", perché non è mai stata contestata a livello di 416 bis. Stessa cosa dicasi per i "Banana": giuridicamente parlando non sono un clan di 'ndrangheta

Cosenza, ecco perché non regge la “confederazione” tra i clan di ‘ndrangheta

Non ci sono prove né sentenze passate in giudicato che attestino l’avvenuta confederazione tra i clan “Lanzino-Patitucci” e quello degli “zingari” di Cosenza. E v’è di più. Non ci sono elementi concreti, ma solo sospetti, che la famiglia degli Abbruzzese, conosciuta come gruppo dei “Banana”, abbia creato una cosca di ‘ndrangheta in città. Le due cose, quindi, non sono in connessione tra di loro ed è per questo che nell’inchiesta “Testa di Serpente” è caduta l’aggravante mafiosa, intesa come agevolazione, nel capitolo dedicato alla detenzione di armi e droga.

Testa di Serpente, dal gruppo Porcaro ai “Banana”

Lo spiega bene, il giudice per l’udienza preliminare, Matteo Ferrante, trasferito in via ordinaria dal Consiglio Superiore della Magistratura ad altra sede, nella sentenza di primo grado emessa nei confronti degli imputati che hanno scelto di farsi giudicare con il rito abbreviato. Sentenza che ha visto la condanna, tra gli altri, di Roberto Porcaro, presunto esponente del clan “Lanzino-Patitucci” di Cosenza. Il giudice territoriale infatti ha fatto un distinguo tra la prima parte dell’inchiesta, quella riguardante il cosiddetto “gruppo Porcaro”, e la seconda, circoscritta alla famiglia dei “Banana”, ovvero i fratelli Abbruzzese, residenti in via Popilia a Cosenza.

Clan di ‘ndrangheta a Cosenza, ecco perché non regge l’aggravante mafiosa

«Secondo la prospettazione accusatoria, le condotte contestate e ritenute all’esito del presente giudizio sarebbero connotate oggettivamente dall’utilizzo di modalità tipicamente mafiose e teleologicamente dirette ad agevolare il sodalizio mafioso di ‘ndrangheta denominato “Lanzino-Patitucci” confederato con la famiglia degli zingari detti “Banana” insieme alla quale gestirebbe la totalità delle attività illecite nel territorio di appartenenza».

Il gup Ferrante, entrando nel merito della decisione, evidenzia che «nel presente giudizio assumono rilievo unicamente le condotte asseritamente poste in essere per agevolare il primo dei due sodalizi mafiosi di ‘ndrangheta, ossia “Lanzino-Patitucci”, posto che, per quanto concerne la diversa compagine criminale dei “Banana”, non sono state rese pronunce di condanna ad eccezione di Celestino Abbruzzese, la cui posizione, tuttavia, avendo gli ammesso di appartenere a tale sodalizio, non pone particolari questioni».

Da “Nuova Famiglia” all’omicidio di Luca Bruni

Il gup Ferrante, sottolinea il dato secondo cui la confederazione tra cosche a Cosenza non è mai stata contestata a livello di 416bis. Questo non è avvenuto né nella precedente inchiesta antimafia, “Nuova Famiglia”, quella che ha disarticolato il clan “Rango-zingari”, considerato tale anche dalla Cassazione né quando la Dda di Catanzaro inquadrò i mandanti e gli esecutori materiali del delitto di Luca Bruni, ucciso nel gennaio del 2012 a Castrolibero. In questo caso si ipotizzò che l’ultimo boss dei “Bella bella” venne eliminato in quanto sarebbe stato un ostacolo alla nascente “confederazione tra clan”. Confederazione, in realtà, emersa solo a parole, soprattutto dalle dichiarazioni di Franco Bruzzese e Daniele Lamanna, il primo ex capo società del sodalizio mafioso, denominato “Rango-zingari”, il secondo partecipe dell’associazione criminale, dedito alle estorsioni e alla commissione di delitti, come nel caso del suo “ex amico”, Luca Bruni.

Clan di ‘ndrangheta a Cosenza, il ruolo apicale di Porcaro

Proseguendo nelle motivazioni, il gup Ferrante ha articolato il presunto castello accusatorio in due preposizioni:

  • L’esistenza della cosca “Lanzino-Patitucci” di Cosenza, «nel cui interesse le condotte criminose sarebbero finalizzate», quelle relative alle estorsioni e all’usura;
  • L’esistenza di un patto confederato con la propaggine criminale degli zingari;

«A ben vedere – scrive il giudice – mentre il primo elemento costituisce il perno attorno al quale ruota la sussistenza o meno dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, il secondo non assume alcuna incidenza sul punto, quantomeno nell’economia delle posizioni qui giudicate. Infatti, nessuno dei reati per cui è condanna si postula essere stato commesso al fine di agevolare la confederazione in quanto tale, bensì, in via diretta ed immediata, l’una e l’altra consorteria criminale asseritamente aderente al patto confederato». Ciò deriva, secondo il giudice, dalla credibilità data dai collaboratori di giustizia, sentiti nella fase delle indagini preliminari, in relazione alla figura apicale di Roberto Porcaro, ritenuto il reggente della cosca “Lanzino” di Cosenza, nel periodo in cui Francesco Patitucci era in carcere, circostanza anche attuale, ma che coinvolge pure Porcaro.

In definitiva, il gruppo dei “Banana”, giuridicamente parlando, non può essere ritenuto un clan in quanto ai soggetti incriminati in “Testa di Serpente”, non è mai stato contestato un 416 bis, che conseguentemente, sia sfociato in una sentenza di condanna comprovante l’esistenza stessa del clan “Banana”.

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