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Celestino Abbruzzese: «Mi hanno offerto 100mila euro per ritrattare le accuse»

Rivelazione in aula del collaboratore di giustizia, Celestino Abbruzzese. «I miei fratelli volevano che ritrattassi tutto. Ma ho detto no».

Celestino Abbruzzese: «Mi hanno offerto 100mila euro per ritrattare le accuse»

Udienza fiume quella andata in onda oggi nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza, dove si è aperto ufficialmente il processo denominato “Testa di Serpente”, l’inchiesta della Dda di Catanzaro contro due gruppi criminali distinti. Da una parte la famiglia Abbruzzese e dall’altra Roberto Porcaro e i suoi presunti “sodali”. Il pm antimafia, Corrado Cubelotti, rappresentante della pubblica accusa, ha sentito il collaboratore di giustizia, Celestino Abbruzzese, meglio conosciuto come Claudio o “Micetto”. Si tratta del primo pentito appartenente ai “Banana”, presunto gruppo mafioso, leader nello spaccio di sostanze stupefacenti in tutta l’area urbana di Cosenza, come ha dichiarato nei giorni scorsi Adolfo Foggetti (LEGGI QUI)

Il collegio giudicante, presieduto dal presidente Carmen Ciarcia (giudici a latere, Stefania Antico e Iole Vigna), ha acquisito i mezzi di prova, dando inizio all’istruttoria dibattimentale. Esame e controesame particolarmente impegnativo per le parti processuali. Prima dell’escussione di “Micetto”, il tribunale collegiale di Cosenza, ha conferito l’incarico al perito Nicola Zengaro di trascrivere le intercettazioni. Le operazioni di rito inizieranno il prossimo 22 luglio. 

L’esordio di “Micetto”

Celestino Abbruzzese, imputato di reato connesso, difeso dall’avvocato Simona Celebre del foro di Roma, ha ricostruito il periodo collaborativo. «Ho deciso di pentirmi il 31 ottobre 2018, facevo parte del gruppo dei Banana gestito dai miei fratelli. Il gruppo era composto da Luigi, Nicola “il pacco”, Marco lo “struzzo”, Antonio detto “Capogrossa”, Franco, mio zio Antonio, Claudio Alushi e Mino Attento». Secondo Abruzzese, i fratelli, oltre a commettere svariati reati, si occupavano anche di acquistare auto nuove in Germania per rivenderle poi in Italia.

Per quanto riguarda lo spaccio, il gruppo “Banana” commercializzerebbe l’eroina e la cocaina in tutto Cosenza e nel centro storico, precisamente in piazza Valdesi. In città, tuttavia, le maggiori quantità di cocaina, hashish, marijuana, sono spacciate dagli italiani. «Ne fanno parte Roberto Porcaro, Francesco Patitucci e Renato Mario Piromallo». Per “Micetto”, gli italiani si occupano anche di estorsione ed usura. Il collaboratore, inoltre, ha aggiunto che «i miei fratelli dovevano prendere la cocaina dagli italiani e l’eroina da mio cugino Luigi a Cassano. Poi avveniva la spartizione dei profitti, che andavano solo ai miei fratelli».

Prima dell’arresto, avvenuto nell’ambito dell’operazione “Job Center”, Celestino Abbruzzese sapeva che le estorsioni erano gestite dagli italiani, nella persona di Roberto Porcaro. «Non c’era una suddivisione di zone, ma la divisione al 50% dei profitti», mentre l’usura «i miei fratelli la facevano per conto loro». 

La presunta estorsione ai danni di un gommista

In uno dei racconti fatti da Abbruzzese, al vaglio del collegio giudicante, è emerso che il collaboratore di giustizia aveva un rancore personale con Roberto Porcaro che, a suo dire, aveva minacciato Adamo Attento, «che ha sposato una cugina di mia moglie». L’imputato in questione, secondo quanto detto dal pentito, vantava un credito di circa 20mila euro da un gommista – situazione che nel tempo ha causato l’avvio di una causa di lavoro ancora pendente – titolare di una pizzeria nel comune di Rende. «Ho chiamato uno dei miei fratelli, proponendo che parte delle somme dovesse andare a metà, 1.500 euro ai miei fratelli e l’altra metà ad Attento» ma successivamente Celestino avrebbe scoperto che il gommista era sotto estorsione da parte di Porcaro, che non voleva affatto che ci fossero intromissioni in questa situazione, minacciando – a dire di “Micetto” – proprio Adamo Attento di malmenarlo con un palo. Cosa che non avverrà.

Tornando sull’argomento droga, Celestino Abbruzzese ha detto che «l’eroina veniva venduta solo da noi, la cocaina arrivava in via degli stadi da Roberto Porcaro e la portavano alcuni ragazzi del gruppo, tra cui Antonio Marotta detto Capiceddra. I pagamenti avvenivano in contanti. Si versava un acconto alla consegna, mentre la restante parte quando le dosi venivano definitivamente vendute». 

Il caso dell’autista dei pullman 

Uno dei capi d’imputazione più spinosi è senza dubbio quello relativo alla presunta estorsione ai danni di un autista dei pullman, che gestiva insieme alla moglie una società di anti-taccheggio. «Con la vittima c’è un rapporto di fratellanza che dura da 35 anni. Un rapporto che nasce da piccolo, quando entrambi avevano la passione per gli impianti hi-fi nelle auto)». E aggiunge: «La moglie della persona offesa aveva agenzia anti taccheggio, dove ci lavorava mila moglie, Anna Palmieri».

Secondo “Micetto”, il suo amico «ha pagato una cosa che non era di sua competenza, grazie a un tranello di Adamo Attento. Infatti, ho appreso che i miei fratelli gli avevano chiesto 15-20mila euro come ripicca per il fatto che io avessi deciso di cambiare vita», ma alla base potrebbero esserci anche situazioni ancora non emerse nel processo. Attento, secondo quanto ricostruito dalla Mobile di Cosenza, avrebbe portato la vittima al cospetto dei fratelli Abbruzzese che lo avrebbero minacciato e picchiato. Ma la difesa dell’imputato, assistito dall’avvocato Fiorella Bozzarello, ha prodotto una serie di screenshot, dove emerge che anche dopo questo presunto episodio, la vittima continuava a scrivere ad Attento, proponendo di uscire a cena con lui.

«Ai miei fratelli, la mia collaborazione con la giustizia non è andata giù» ha riferito Abbruzzese, spiegando che era socio della società della vittima, avendo dato la somma di 7.800, frutto di un’ingiusta detenzione. «4.800 euro dal risarcimento dello Stato e altri 3mila me li hanno prestati». Il pentito, nel caso di specie, sapeva delle minacce che sarebbero state proferite dai fratelli all’indirizzo della vittima, grazie alla moglie, Anna Palmieri, che glielo aveva anticipato prima che lui uscisse dal carcere, attraverso sua suocera, in contatto con la moglie della persona offesa. Ma nell’ordinanza di custodia cautelare si evince un contatto diretto tra Anna Palmieri e la compagna della vittima. 

Le altre (presunte) estorsioni

Abbruzzese, continuando a parlare di estorsioni, ha appreso della “richiesta” fatta ai danni di un uomo per questioni di terreni e appartamenti, dagli atti del processo e per averlo letto sui giornali. Insomma, le nuove collaborazioni con la giustizia sembrano essere diverse da quelle del passato, dove la tecnologia non la faceva da padrona (senza dimenticare che ci sono disposizioni molto ferree per i collaboratori di giustizia che non possono avere comunicazioni esterne, soprattutto con il territorio di provenienza). Più dettagliato invece il racconto di un’altra presunta estorsione, alla quale avrebbe partecipato insieme ai fratelli Marco e Nicola. «Il primo guidava la moto, il secondo ha sparato con una pistola calibro 9».

“Micetto” ha svelato che la motocicletta era stata fornita da Maurizio Rango e l’obiettivo era un pusher che aveva dato problemi nello spaccio di eroina e per questo motivo andava punito». Sparatoria poi avvenuta anche in un’altra occasione, quando un cugino di Celestino, voleva che il gruppo di “Strusciatappine” vendesse la droga per conto loro. Durante la discussione, Marco Abbruzzese, che da poco aveva comprato una pistola, ferì alle gambe, Rocco Abbruzzese. Infine, le armi. Il gruppo dei “Banana” le nascondeva in un buco nel palazzo, situato all’ultimo Lotto, in cui abitavano i fratelli. 

Il controesame di Celestino Abbruzzese

Nella seconda parte dell’udienza, gli avvocati Filippo Cinnante, Antonio Quintieri, Giorgia Greco, Cristian Cristiano, Cesare Badolato e Fiorella Bozzarello, hanno incalzato il collaboratore con domande specifiche, tese a verificare la sua credibilità e soprattutto a far emergere le contraddizioni emerse tra il dibattimento e i verbali illustrativi. Anche in questo caso, com’è avvenuto durante l’esame, Celestino Abbruzzese, utilizzando frasi a tratti folcloristiche, ha risposto ai quesiti difensivi, svelando particolari inediti. Ma ci arriveremo tra un po’.

L’avvocato Cinnante ha chiesto al pentito se si ricordava per quali reati era stato arrestato nell’ambito del procedimento “Job Center” e a quale periodo risale la sua collaborazione con la giustizia, mentre l’avvocato Quintieri ha contestato alcuni passaggi riguardanti Antonio Marotta che gli avrebbe detto che spacciava per conto della sua famiglia. Circostanza che in udienza era stata riferita in modo differente dal testimone, dichiarando di averla appresa dal fratello Luigi.

Abbruzzese: «100mila euro per ritrattare le accuse»

In questo frangente, il pentito ha spiegato i motivi dell’attrito con il gruppo («quando ero in carcere non ci mandavano soldi») e sul perché avesse deciso di non firmare il primo verbale collaborativo. «Chiesi al dottor Falvo di far uscire mia moglie, poi decise di seguirmi e dal 18 febbraio 2019 si è ricongiunta con i nostri figli». Ma la rivelazione arriverà da qui a poco. Infatti, Celestino Abbruzzese ha dichiarato che i fratelli sarebbero andati a Rebibbia per convincerlo a ritrattare e che le «guardie» lo avrebbero informato che c’erano dei familiari per il colloquio, accorgendosi qualche secondo dopo, che non avrebbe potuto parlar con nessuno, in quanto collaboratore di giustizia. Così, «mi hanno riferito», sempre attraverso la suocera, «che i miei fratelli erano pronti ad offrimi 100mila euro se avessi ritrattato tutto, ma ho detto no. Se ho scelto di collaborare non è per soldi, ma per cambiare stile di vita».

Nel programma di protezione, infine, voleva portare anche Adamo Attento, che identificava come persona a lui molto cara «in quanto temevo che Porcaro potesse fargli qualcosa», ma scoprirà che il 30enne cosentino, rifiutò la proposta. «Mia figlia successivamente mi ha detto che in questura lui chiese le chiavi di casa mia e ho saputo che mio fratello Marco ha preso tutto, dall’oro all’abbigliamento. La questura di Cosenza ha constatato quindi che ho subito un furto». Un sentimento di rancore verso Attento? Si vedrà. «Lui  comunque non aveva problemi con la giustizia ed infatti raccoglieva per me i soldi delle estorsioni nella zona di Montalto Uffugo».

L’autoscatto o un messaggio?

Al termine dell’udienza, però, è successo qualcosa nel sito riservato, che ospitava il collaboratore. «Signor presidente la informo che il collaboratore ha scattato una foto» e il pm si è inalberato per questa cosa, ma l’avvocato difensore ha risposto che «in realtà sul cellulare di Abbruzzese è arrivato un messaggio». Elementi che rischiano di inquinare il processo, visto che ci sono regole molto precise sulla gestione dei collaboratori di giustizia. A tal proposito, l’avvocato Giorgia Greco ha chiesto l’acquisizione delle immagini di video-sorveglianza. Il collegio valuterà in seguito. Prossima udienza fissata per il 23 settembre 2021.

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