Per impedire a qualcuno di detenere armi, il prefetto deve effettuare «un’istruttoria approfondita», senza limitarsi «a recepire» le proposte del questore. Altrimenti, il provvedimento è da considerarsi «illegittimo». È questo il senso della sentenza pronunciata nelle scorse ore dal Tar della Calabria che ha annullato la misura emessa nel 2020 dalla Prefettura di Cosenza a carico di Giuseppe M., cittadino residente a Lago. Nel 2019, infatti, il questore della città dei Bruzi non gli aveva concesso il rinnovo del porto di fucile a scopo venatorio, ritenendolo un soggetto capace di «abusare» del possesso di eventuali armi.

Il motivo? La sua frequentazione con pregiudicati riscontrata da parte delle forze dell’ordine. A ciò si aggiungeva un anno più tardi l’ulteriore carico messo sul piatto dagli uffici di piazza XI settembre, ovvero il divieto di detenere armi, munizioni e materiale esplodente. Un provvedimento «illogico e irragionevole» lo definiscono i giudici catanzaresi. In precedenza, infatti, lo stesso Tribunale amministrativo aveva revocato il divieto di porto di fucile statuito dal questore, circostanza che avrebbe dovuto imporre al Prefetto di motivare il suo provvedimento, senza «ancorarlo» a una misura ormai decaduta.

Ciò non è avvenuto, ragion per cui i giudici hanno inteso accogliere tutti i motivi di ricorso – Carenza di motivazione, eccesso di potere, difetto di istruttoria – proposti dall’avvocato Enrico Morcavallo per conto di Giuseppe M.

Nella sentenza si ricorda come la Legge italiana conceda «ampia discrezionalità amministrativa» alle autorità nel valutare l’affidabilità delle persone in tema di possesso di armi. Una discrezionalità «non sindacabile in sede giurisdizionale», ma – e questa storia lo dimostra, con tutti i limiti e le eccezioni del caso.