«Io, cosentina a Bergamo. Vi racconto il mondo vuoto del Coronavirus»
«Il 21 febbraio 2020 resterà una data indelebile nella memoria dei lombardi, ma anche nei ricordi di una cosentina trapiantata a Bergamo. I bambini erano pronti e trepidanti per le imminenti parate di Carnevale. Supereroi, principesse, parrucche e coriandoli. Ma quelle parate, il sabato pomeriggio, dopo l’annuncio di venerdì sera del “primo” contagiato di Codogno
«Il 21 febbraio 2020 resterà una data indelebile nella memoria dei lombardi, ma anche nei ricordi di una cosentina trapiantata a Bergamo.
I bambini erano pronti e trepidanti per le imminenti parate di Carnevale. Supereroi, principesse, parrucche e coriandoli. Ma quelle parate, il sabato pomeriggio, dopo l’annuncio di venerdì sera del “primo” contagiato di Codogno (Lo), a pochi km da Bergamo, non ci sono mai state… I vestiti sono rimasti negli armadi e i coriandoli nei loro sacchetti. Difficile da spiegare ad un bambino…
La mia mamma ed il mio papà si trovavano qui a Bergamo per trascorrere il fine settimana di Carnevale con i loro nipoti. Il lunedì rincasavano a Cosenza, provvedendo a comunicare alle autorità il loro rientro dalle zone attenzionate. In verità nessuno si prendeva la briga di appuntare i loro nominativi da qualche parte ma il senso civico gli imponeva di restare in casa ed autoisolarsi.
E così cominciava per me, mio marito ed i miei bambini la quarantena a Bergamo, e, contemporaneamente, aveva inizio, con anticipo, la quarantena dei miei genitori a Cosenza.
Passavano i giorni ed il numero dei contagiati intorno a noi saliva spaventosamente. Si viveva nell’attesa di subire restrizioni pari a quelle di Codogno da un momento all’altro, alla luce soprattutto della preoccupante situazione di Nembro (Bg) e Alzano Lombardo (Bg). Ciò avveniva, ma il provvedimento restrittivo vedeva interessata l’intera Lombardia.
Nota a tutti la lunga notte dell’esodo, quando diversi meridionali, a seguito della “chiusura” lombarda, si affrettavano a rientrare nelle loro residenze, dalle loro famiglie, dai loro genitori, dalle loro mogli o dai loro figli. Non sono mai riuscita a biasimare totalmente chi è rientrato. Un pomeriggio balenò anche a me, come un lampo, l’idea di portare i miei bambini dai nonni a Cosenza. Questo pensiero mi abbandonò all’istante, per coscienza e per esigenze di sicurezza sanitaria.
Io sono rimasta a Bergamo, con i miei figli ed accanto a mio marito, ma non giudicherò mai chi, preso dal panico e dalla paura, in maniera certo irresponsabile, è tornato a “casa”.
Fortunatamente da lì a poco sono iniziati i censimenti dei rientri in Calabria così come nelle altre regioni interessate dall’esodo. Il resto è oramai storia.
Intanto qui, vicini di casa, amici, parenti, colleghi iniziavano ad ammalarsi, le sirene delle ambulanze, e solo loro, iniziavano a squarciare il silenzio della città, soprattutto di notte quando la febbre degli ammalati saliva e le crisi respiratorie aumentavano. I manifesti mortuari iniziavano a moltiplicarsi di giorno in giorno e le pagine dei giornali bergamaschi dedicate ai necrologi aumentavano vertiginosamente.
Io ho provato a lavorare finché ho potuto con le dovute cautele, ma la paura e la responsabilità verso i miei figli mi hanno portato a serrare le porte del mio studio e ad operare da remoto. Nel frattempo mio marito ha continuato a raggiungere giornalmente la sua azienda.
Le filiere produttive sul territorio, nell’attesa del provvedimento del lockdown definitivo che sarebbe giunto di lì a poco, da giorni ormai avevano iniziato a contare la decimazione dei propri dipendenti, a casa, in malattia.
Tra un disegno e l’altro dei bambini, un nascondino ed una moscacieca, noi adulti avevamo iniziato a vivere nell’attesa del bollettino giornaliero, un bollettino di morte. Esisteva la giornata pre-bollettino, fatto di giochi, lavoro da casa, panificazioni e attività fisica, e la giornata post-bollettino, dove si crollava nell’angoscia, nella paura e nell’apprensione.
I piedi fuori dall’uscio solo per la spesa ogni dieci giorni o per un sostegno agli anziani vicini di casa a cui tutt’oggi consegniamo l’occorrente perché possano evitare di uscire.
Un’angoscia costante per ciò che avveniva intorno a noi e per quello che sarebbe potuto accadere a Cosenza, alle nostre famiglie.
Le settimane sono trascorse. Siamo ancora in emergenza, sì, ma gli ospedali nella città di Bergamo iniziano a respirare. Da ciò che leggo o mi riportano, i nosocomi di Cosenza per fortuna fronteggiano il pericolo anche grazie agli esigui ricoveri in reparto ed in terapia intensiva. Sapere questo ci tranquillizza un po’, per adesso.
Qui amici e parenti che ce l’hanno fatta iniziano a guarire. La primavera è scoppiata, solo fuori dalle nostre case per ora, e si vive nell’attesa di poter fare una passeggiata in solitudine o con i bambini, speranza di ogni italiano e non! Ovunque si vive nell’attesa di poter riprendere a lavorare, ma spero che il sacrificio di oggi, finché sarà necessario, ci permetta domani di ripartire con maggior sicurezza e forza.
La reclusione non è per natura accettata dall’animo umano che fortunatamente, nella maggior parte dei casi, è però dotato di intelletto. La paura e l’esperienza vissuta e che stiamo vivendo qui ci porta ad essere cauti ed a non avere molta fretta di uscire. Ho paura oggi per chi invece, non avendo toccato con mano la tragedia lombarda, psicologicamente non regge più le misure restrittive e attende la fine del lockdown per riprendere la vita di sempre… La vita di sempre che, però, in molti qui hanno perso. Anziani soprattutto, ma giovani anche, in una percentuale preoccupante.
Sarà che per molti miei ex conterranei la Lombardia appare lontana, così come appariva la Cina lontana all’Italia intera… almeno fino a febbraio!
Confido ed ho fiducia nelle coscienze dei lombardi che oggi mi hanno adottata e confido nelle coscienze dei calabresi, dei campani, dei pugliesi o dei siciliani che, pur contando oggi solo pochi, ma sempre troppi, dolorosi decessi, hanno la fortuna di conservare la propria memoria storica custodita negli anziani. Tesoro inestimabile questo, che, invece, muto e silenzioso, se ne sta andando tra i rintocchi delle campane di Bergamo»