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È partito che era ancora buio, come ai tempi dei suoi proverbiali appostamenti. Nino Perticari è partito, ma stavolta non farà più ritorno. Il già brigadiere dei carabinieri è morto stanotte, stroncato da un infarto. Per l’anagrafe era Antonino, ma in città lo conoscevano tutti come «Nino il Messinese», un omaggio alla sua città natia. Sessantaquattro anni, metà dei quali vissuti intensamente a Cosenza, tra prodezze e qualche amarezza.
Arriva in città sul finire degli anni Ottanta e prende servizio nella stazione allora ubicata ai piedi del vecchio liceo “Telesio”. Nel giro di poco tempo, farà di quei locali angusti – un ex convento adibito a caserma – la propria reggia e del centro storico il suo regno.
Pur non essendo del posto, diventa un profondo conoscitore della città vecchia e di quel labirinto fatto di vicoli, anfratti e vinelle, di discese ardite e di risalite, che per lui non avranno segreti. Con una mappa immaginaria tatuata sul cervello, si distingue in inseguimenti e perquisizioni. Armi o droga nascoste nei ruderi o nei vasci, se c’è lui prima o poi saltano fuori.
È un carabiniere di strada, pregiudicati e malandrini li marca stretti, come Gentile su Maradona. Rude ma cavalleresco, glielo riconosceranno pure i “cattivi”, che si rivolgono a lui con rispetto: «Nino, come ti chiamano dalle tue parti?». «Dalle mie parti mi chiamano Signor Nino». Rispetto dei ruoli, sempre.
Ha tanti informatori, Nino il Messinese. Perché per fare il suo mestiere non basta solo l’intuito, ci vuole anche orecchio. Dalla stazione di Cosenza vecchia passa al Nucleo operativo, poi fa da scorta ai magistrati della Dda, infine passa a Cosenza Nord. L’encomio ricevuto nel 2010 segna il punto più alto della sua parabola. A quel punto lui è già un carabiniere d’altri tempi. I tempi, infatti, stanno per cambiare. E i nuovi, che s’intravedono all’orizzonte, promettono già di stritolarlo.
Finisce sulla bocca di alcuni pentiti che lo accusano di aver passato informazioni riservate ai clan e di aver preso da loro del denaro. Più in generale, di aver derogato, nella parte finale della sua carriera, al principio che fin lì aveva fatto le sue fortune di investigatore-segugio: il rispetto dei ruoli. «Sono persone che ho fatto arrestare», protesta. «Vogliono vendicarsi di me», tuona. «Non ho mai disonorato la divisa», insorge.
Subisce l’onta di un processo e di una condanna in primo grado. Pensava alla rivincita, ma ora non ci sarà alcun Appello. Se ne va comunque da innocente. Con lui spariscono un pezzetto di storia della città e un mondo fatto di guardie e ladri, di buoni e cattivi, di sguardi, soffiate, appostamenti. Migliore o peggiore di quello attuale? Non esiste più, e tanto basta. Prodezze e amarezze di Nino il Messinese. Il signor Nino.