Rilievi degli investigatori sui colpi esplosi nella galleria teatro del colpo: l’ipotesi dell’utilizzo dei kalashnikov e di fucili a canne mozze. Si indaga anche sui luoghi in cui sono stati trafugati i mezzi dati alle fiamme
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Questione di calibro: tutto può aiutare gli investigatori a indirizzare le indagini nella giusta direzione dopo l’assalto al portavalori che ieri ha trasformato in un teatro di guerra la galleria dell’A2 tra Scilla e Bagnara. I fatti sono noti: all’alba un gruppo di banditi (tra 8 e 10 persone, secondo le prime ipotesi filtrate nella giornata di ieri) ha prima isolato l’area grazie all’incendio di due auto messe di traverso sulla carreggiata e poi assaltato un furgone della Sicurtransport. Bottino da due milioni di euro e fuga attraverso lo svincolo di Bagnara, forse diretti verso le strade provinciali che conducono in Aspromonte.
Rapina al portavalori, l’ipotesi dei kalashnikov
Una trappola del tunnel, vigilanti aggrediti (ma nessuno ha riportato gravi ferite) e colpi sparati in aria per chiarire che sarebbe stato meglio arrendersi. Secondo quanto appreso alcune cartucce sarebbero state calibro 12: classico fucile a canne mozze. Il commando avrebbe utilizzato anche armi da guerra: dall’analisi dei colpi esplosi si capirà di che tipo. L’ipotesi è che si sia trattato di kalashinov. Un fatto ancora da riscontrare, sarà il calibro a chiarirlo: un 7,62 non lascerebbe dubbi sul tipo di mitragliatore utilizzato. Sembrano (e sono) dettagli tecnici: nulla però può essere lasciato al caso. Il tipo di arma utilizzata è il primo step investigativo, necessario per definire l’avvio dell’inchiesta che, naturalmente, passerà anche dalle testimonianze dei tre vigilantes aggrediti.
Rapina al portavalori, una delle auto rubata a Vibo
E dall’analisi delle videocamere di sorveglianza: quelle piazzate nelle vicinanze dello svincolo, sicuramente. E anche i sistemi nei pressi di Vibo Center, il centro commerciale di Vibo Valentia in cui è stata rubata una delle auto – una Fiat Panda – utilizzate per l’azione e poi data alle fiamme.
Anche la ricostruzione di quello che poteva apparire come un banale furto può offrire un tassello utile a ricostruire un puzzle complesso nel quale la criminalità organizzata non può non aver giocato un ruolo.
Una joint venture criminale per il bottino da 2 milioni
Molto difficile che un blitz così organizzato sia avvenuto all’insaputa delle cosche di quell’area del Reggino, anche se – lo insegnano i casi più recente – è probabile che l’azione sia stata strutturata su più livelli: banditi specializzati nelle rapine ai portavalori, ’ndrangheta, criminali comuni. Una joint venture ingolosita dal bottino: 2 milioni di euro. Solo in parte andati in fumo nell’esplosione che ha scardinato il portellone del mezzo blindato. Il resto ha lasciato la galleria e preso strade, per ora, sconosciute. Per ricostruire il tragitto ogni informazione può essere decisiva: anche il calibro di un proiettile.



