La Prima Sezione penale della Suprema Corte cancella la condanna per fatti sino al 2005 «perché il fatto non sussiste». L’avvocato era ritenuto dalla Dda una cerniera tra le componenti visibile e occulta della criminalità organizzata
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La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha pronunciato una decisione di grande rilievo nel contesto del processo “Gotha”, uno dei più complessi procedimenti giudiziari contro la ‘ndrangheta reggina. La Suprema Corte ha annullato senza rinvio la condanna inflitta in secondo grado all’avvocato Giorgio De Stefano per associazione mafiosa in relazione ai fatti commessi fino al 2005, perché il fatto non sussiste.
Nel secondo processo di appello celebrato con rito abbreviato, De Stefano era stato condannato a 10 anni di reclusione (anche la condanna a 15 anni e 4 mesi rimediata nel primo appello era stata annullata dalla Cassazione, ma con rinvio), in base all’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia che lo indicava quale “soggetto di cerniera” tra la componente visibile e quella occulta della criminalità organizzata.
La Cassazione, in questa circostanza, ha decretato l’annullamento della condanna senza rinvio perché “il fatto non sussiste”.
Al fianco di Giorgio De Stefano, che ha potuto contare su un pool difensivo composto tra gli altri dagli avvocati Valerio e Giorgio Vianello, Paolo Tommasini e Giovanni De Stefano, la decisione della Cassazione segna un importante passaggio processuale. L’esito riflette la complessità delle questioni giuridiche sollevate nell’ambito del “Gotha”, nato dall’accorpamento di indagini come Mamma Santissima, Reghion, Fata Morgana e Sistema Reggio, nonché i limiti dell’uso delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia per ricostruire strutture criminali “invisibili” o riservate. De Stefano era stato arrestato nel 2016 e ha scontato 6 anni di carcerazione preventiva.
Per quanto riguarda gli altri imputati, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio anche per Antonino Nicolò una condanna a tre anni di reclusione. È stato rigettato, invece, il ricorso degli imputati Roberto Franco e Domenico Marcianò che erano stati condannati, rispettivamente, a 12 anni e 8 anni.

