VIDEO | Alberto Lascala concede al nostro network un’intervista da brividi durante la quale ripercorre i momenti di quella tragica notte di maggio durante la quale in appena due ore vide morire la moglie 32enne al settimo mese di gravidanza e il loro bambino. Due gli operatori sanitari indagati
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«Sognavamo una famiglia. Il nostro bambino stava arrivando. Poi, improvvisamente, la nostra vita è finita…». Per la prima volta Alberto Lascala parla della morte della moglie Martina, 32 anni, di Pizzo, deceduta all’alba del 4 maggio all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia pochi minuti dopo la perdita del bimbo che portava in grembo al settimo mese. Su quella tragedia che ha sconvolto la comunità vibonese e l’intera Calabria indaga la Procura, con due operatori sanitari iscritti nel registro degli indagati.
«Sognavamo una famiglia»: il racconto di un amore spezzato

Alberto tiene tra le mani l’album del matrimonio, le foto di un giorno pieno di luce e promesse che oggi fanno più male. Accanto a lui c’è la sorella Letizia, che da mesi prova a sostenerlo.
Parla per la prima volta raccontando la tragedia che gli ha portato via la moglie Martina e il loro bimbo, che avrebbero chiamato Marino, come il padre di Alberto: «I nostri sogni? Costruire la nostra famiglia. Lei era felice, semplice, voleva una vita tranquilla».
È il 15 novembre, giorno dell’onomastico di Alberto, quando Martina gli comunica di essere incinta: «Mi ha detto: “Ho un regalo per te… lo vedrai quando arrivi”. Una volta a casa mi mostrò il test di gravidanza. Era al settimo cielo, io ero felicissimo».
A gennaio fantasticavano sul sesso del bambino, scherzavano: «Per me era femmina, per lei maschio. Aveva già scelto tutto, nome compreso».
I primi malesseri e i ripetuti accessi in ospedale
«Tutto è iniziato il 3 marzo – racconta Alberto – quando ha cominciato a stare male, a sentire dolore al fianco, a non riuscire a respirare».
Quella fu la prima di una serie di visite al Pronto soccorso dell’ospedale di Vibo: «Le dicevano che era solo ansia, che era normale alla prima gravidanza».
A portarla allo Jazzolino non era solo lui: «Anche mia sorella e mia madre. Fino al 30 aprile siamo andati più volte. L’ultima, il 4 maggio».
Sull’ipotesi di un malore cardiaco Alberto non si sbilancia: «Non so cosa sia successo. L’avvocato mi ha parlato di possibile malasanità, di mancati approfondimenti. Io posso solo dire che ci dicevano che era solo ansia».
Le cause del decesso sono ora oggetto d’indagine da parte della Procura. Due operatori sanitari risultano iscritti nel registro degli indagati, ma i nomi non sono stati ancora comunicati alla famiglia.
La corsa disperata del 4 maggio
Quella notte dove tutto è precipitato nella tragedia più cupa i dolori divennero insostenibili. «Era bianca, non respirava. L’ho portata ancora al Pronto soccorso. Il tempo di parcheggiare e già l’avevano portata su, senza di me». Alberto prova a seguirla. «Mi hanno detto che non potevo entrare. Dopo mezz’ora mi hanno detto che il bambino non ce l’aveva fatta. Poi, 45 minuti dopo, neanche lei».
A comunicargli la notizia è stata la ginecologa: «Mi ha detto che non era riuscita a salvarla. Non sapevano cosa fosse successo».
La voce dell’uomo trema mentre rivive quegli ultimi momenti: «In macchina non riusciva neanche a parlare. Diceva solo che non ce la faceva dal dolore».
L’autopsia e la richiesta di verità
L’esame autoptico è stato eseguito e i risultati sono stati consegnati all’avvocato della famiglia. «Io non li ho ancora visti – dice Alberto -. So solo quello che mi hanno detto: secondo loro si sarebbe potuta salvare se fossero state approfondite le cure. Io ho diritto a sapere la verità».
La richiesta di Alberto è chiara: «Chiedo giustizia. Non torneranno, né lei né il bambino. Ma almeno venga fatta giustizia, perché quello che è successo a noi potrebbe succedere ad altri. Non è giusto soffrire così».
Quella casa troppo vuota e il sostegno della famiglia

Alberto non riesce più a tornare nella casa che condivideva con Martina. La stanzetta del piccolo Marino non era ancora pronta. «L’avremmo sistemata a maggio. Oggi è solo una casa triste e vuota. Non c’è più lei che mi accoglie. Non ce la faccio a tornare in quella casa che ci ha visto felici, insieme. Oggi sto da mia madre».
Poi sfoglia l’album, mostra il giorno del matrimonio: «Era commossa, sensibile. Io volevo tre bambini. Lei era felice». Parole che nella loro semplicità rivelano l’immensità di una tragedia che non passerà mai.
Accanto a lui, Letizia trattiene a stento le lacrime: «Sono stata quella che in famiglia ha conosciuto per prima Martina. Era solare, sorridente. Abbiamo tentato di aiutarla portandola in ospedale, ma non è bastato. Io ho perso mia cognata e mio nipote, ma Alberto ha perso la sua famiglia in appena due ore. Ora dobbiamo stargli vicino».
«Non riesco a togliermi la fede»
Alberto si gira e rigira la fede matrimoniale intorno al dito. Un gesto d’amore e di dolore nello stesso tempo: «La tengo sempre, tranne quando lavoro. Non riesco a stare senza».

