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Il match non è chiuso. Da un lato del ring troviamo la direttrice del Museo archeologico dei Bretti e degli Enotri, Marilena Cerzoso, affiancata dal Comune di Cosenza, dall’altro Roberto Bilotti, collezionista d’arte e nipote di Carlo Bilotti, magnate originario della città dei bruzi scomparso qualche anno fa. In mezzo c’è una collezione di 800 pezzi molto antichi: vasi, anfore e suppellettili datate 5mila anni fa.
I fatti li abbiamo raccontati due giorni fa: Bilotti vorrebbe donare questa collezione a Cosenza e collocarla in quello che ritiene l’unico posto adatto: il Museo archeologico dei Bretti e degli Enotri. Il docente universitario, Ottavio Cavalcanti – come racconta Bilotti – ne avrebbe parlato con la consigliera delegata alla Cultura Antonietta Cozza, qualche mese fa, sottolineando il valore dei pezzi antichi. A seguire sono arrivate telefonate interlocutorie tra Bilotti e il Comune, ma dopo il diniego della direttrice del Museo, la cosa sembrava finita. Quando il caso è montato su scala nazionale, con un pezzo apparso sull’Espresso, la risposta del Comune non s’è fatta attendere.
A rispondere sulle nostre pagine è stata l’assessora Pina Incarnato che ha sposato in toto la linea di Marilena Cerzoso (la quale ha sottolineato che in caso di disco verde da parte dell’amministrazione comunale, lei si sarebbe opposta) invitando il collezionista a inoltrare domanda formale e scritta, così da poter valutare e trovare un’altra collocazione adatta ai reperti.
Questi i fatti fino a ieri. Roberto Bilotti, però, oggi ribatte alle dichiarazioni dell’assessora con un velo di amarezza. «Quello che sta accadendo oggi mi ricorda, purtroppo, quel che avvenne nel 2005. Il sindaco era Eva Catizone e dopo la mostra “Da Picasso a Warhol”, che fu un evento eccezionale, mio zio Carlo manifestò il desiderio di donare una collezione straordinaria, che comprendeva Picasso, Chagall e Mirò, Dalì, de Chirico, Dubuffet, Fontana, Severini, de Kooning, Leger, Tapies, Warhol, a Cosenza. Ecco, in quella circostanza questa città decise di non accettare, opponendo un clamoroso diniego. Il motivo? La mancanza di un posto idoneo a ospitare le opere – racconta Bilotti -. Ma anche Roma, voglio ricordare, non aveva l’Aranceto prima di Veltroni, che invece ebbe la lungimiranza di trasformare Uffici dell’Urbanistica in spazi culturali. Quel giorno Cosenza perse un’occasione incredibile che mai più avrà!»
Per Bilotti la collezione, che porta la certificazione del Ministero che ne ha riconosciuto l’alto valore storico, non ha bisogno di altri spazi all’infuori di quelli del Museo. «Prendo atto delle dichiarazioni pubbliche fatte dall’assessore Incarnato, di cui ho stima, questo lo sottolineo, e che equivalgono a una risposta formale. L’assessore ha sposato la posizione della direttrice Cerzoso che è di chiusura rispetto alla mia proposta. Ribadisco: non ha senso spezzettare in più punti un progetto culturale. Se Cosenza ha un Museo archeologico, non vedo perché questo non debba essere considerato sede idonea per dei reperti antichi, considerando che per 2/3 la struttura è vuota e che alcuni degli spazi sono occupati da reperti garibaldini. Quella è archeologia invece? Pertinente alla filosofia del Museo? Forse dovrei ribadire che la collezione di cui parlo è un percorso cronologico e didattico molto ancorato alla Calabria, e questo per l’indiscusso legame che le due culture, quella greca e la nostra, hanno da sempre e i cui riflessi immediati troviamo anche nel nostro linguaggio dialettale. Dunque mi chiedo: perché non lì? Perché questi pezzi non possono trovare spazio in un Museo archeologico? Forse l’archeologia ha cambiato significato?»