Sbaglia la compilazione di un campo della domanda per la richiesta dell’assistenza “home care” e l’Inps sospende l’iter, anche quando l’errore viene prontamente segnalato e corretto. È la sintesi di quanto accaduto a Giulia (nome di fantasia, ndr), mamma di una bimba disabile e gravemente malata, che vive nella Riviera dei Cedri. Ora la donna, sola e stretta nella morsa della solitudine e dell’indifferenza, chiede aiuto per sé e sua figlia, bisognosa di cure salvavita ad ogni ora del giorno e della notte, e lo fa lanciando un appello alla Garante della Salute, Anna Maria Stanganelli. «Da nove mesi – ci dice – attendo invano che il mio comune di residenza attui un piano personalizzato e ora l’Inps ha sospeso la richiesta del contributo economico per l’assunzione di una figura potrebbe aiutarmi giornalmente a tenere la casa igienizzata e sbrigare altre faccende. Sono stanca, mi appello al buon senso e alla generosità della professoressa Stanganelli, spero che lei ci darà una mano».

L’addio al lavoro

Facciamo un passo indietro. Giulia è una docente e ama follemente il suo lavoro, ma ha dovuto dire addio anche a quello. «Io aprivo la porta e per un po’ mi rilassavo, lasciavo a casa i miei problemi, in quel lasso di tempo vivevo una vita normale». Fino a qualche mese fa, lavorava in un istituto a pochi passi da quello che frequentava la sua bambina per un paio d’ore al giorno e questa circostanza le permetteva di raggiungerla nel giro di pochi minuti, anche nel caso in cui la bambina non si fosse sentita bene. Poi, a settembre, la “sorpresa”. L’algoritmo delle assegnazioni, pur tenendo conto delle agevolazioni della legge 104, l’ha spedita a una ventina di chilometri, decisamente troppi. «Quando si parla di legge 104, si fa sempre un grande calderone – ci dice -. Le disabilità non sono uguali, ci sono necessità differenti». Necessità che, a quanto pare, i codici binari di un sistema elettronico stentano a riconoscere e lei è costretta a lasciare. «In quel momento mi trovavo all’ospedale Gaslini di Genova con la mia bambina per un ricovero. Per mantenere l’incarico avrei dovuto lasciare mia figlia lì, da sola, tornare in Calabria, firmare e tornare in Liguria. Ho preferito rinunciare».

L’errore nella domanda Inps

Dopo anni di lotte, oggi la sua bimba oggi può contare su una serie di servizi, che vanno dalla fisioterapia alla logopedia, espletati da una serie di professionisti inviati a domicilio da una struttura sanitaria convenzionata. Per il resto, è un deserto. Quasi un anno fa, Giulia ha fatto richiesta per l’attuazione di un piano individuale al suo Comune di residenza. La risposta sarebbe dovuta arrivare al massimo entro novanta giorni, invece, ha ricevuto solo indifferenza. «Aspetto da oltre nove mesi e nessuno mi dice niente», ci dice tra le lacrime. Da dipendente statale, ha poi provato a richiedere il contributo per l’home care, ossia, riportiamo testualmente dal sito dell’ente pensionistico, l’insieme delle prestazioni di assistenza domiciliare che “si rivolgono alle persone non autosufficienti, con l’obiettivo di intervenire sulla loro sfera socio-assistenziale e prevenirne il decadimento cognitivo”». Giulia compila la domanda ma commette un errore e la pratica finisce in stand by. Lo segnala all’Inps, poi si reca al Caf per rifare la documentazione in modo corretto, ma l’iter non si sblocca. L’Inps le dice di recarsi all’istituto competente territorialmente, cioè quello di Cosenza, ma la situazione non cambia. Se Giulia vuole l’assistenza, deve pagarsela di tasca sua.

L’appella alla Garante della Salute

Dopo aver bussato a tutte le porte, senza successo, ora Giulia prova a chiedere aiuto alla Garante della Salute, Anna Maria Stanganelli, che già in passato l’ha affiancata in un’altra battaglia, risolvendo un cavillo burocratico che si trascinava da mesi e che rischiava di mettere in pericolo la sua bambina. «Faccio un appello a lei, la prego di darci una mano – dice con un filo di voce e gli occhi lucidi -. La invito a venire qui, a casa nostra, per farle vedere quello che io e mia figlia passiamo giornalmente». Poi si asciuga le lacrime e ci saluta, il suo quarto d’ora di “libertà” è già finito e lei deve tornare a combinare farmaci e pasticche per tenere in vita sua figlia.